16 Novembre 2013
Questo era al Torino Film Festival dell’anno scorso. Alla gente piace molto andare al TFF per poter dire di essere stati a vedere un film del TFF, e spacciarsela. Se invece lo stesso film esce in sala mesi dopo, le stesse persone non se lo cagano di pezza, manco si accorgono che c’è; però per l’ennesima volta nella vita per un attimo si sono sentiti cool.
Ripresa della storia di Biancaneve (ah l’avevi capito? Toh…), ma senza parole e in b/n, con esigue didascalie, nella Spagna di inizio di quel secolo là, e innestata in una famiglia di toreri. Carmencita nasce, la mamma muore, intanto il padre supertoreador ha l’incidente fatale nell’arena. Il padre sposa l’infermiera malvagia e sadico-arrivista (funzione: strega matrigna), Carmen viene allontanata da casa e, persa la memoria, finisce in un losco giro di nani toreador (mannò so’ttenerissimi!), coi quali diventerà una toreadora? Torera? Famosa? Sì, e la matrigna le darà la mela, e morirà. Ma chi? BOTH!
La messinscena della fiaba soffre un minimo dei pezzi di storia che già sappiamo o immaginiamo – è difficile sorprendere qualcuno con la storia di Biancaneve, al massimo con le variazioni sul tema – ma è costellata invece di momenti toccanti: su tutti il rapporto ritrovato col padre da bimba, per come è indagato negli sguardi, mentre altrove la matrigna fa le mises stupidobuffe, ma anche il fiume dei ricordi che le risale carsicamente dentro da adulta, nel riconoscimento quasi-finale. La realtà è che non puoi fare un film cupo e spagnolo senza nani (vabbè, per me i film coi nani rulezzano), e ci sono costellazioni di richiami, alle estetiche di Jean Vigo, al mondo alla rovescia di Freaks e alle ispanofollie di Balada triste de trumpeta.
Come detto i nani spaccano, e c’è il nano (funzione principe azzurro mode on) innamorato che glielo vuole appoggiare, il nano travone (vabbè, travino), e un finale triste da commozione e necrofilia.

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