25 Febbraio 2018 in Big Driver

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Non c’è filone o corrente dell’horror che nella sua lunga carriera Stephen King non abbia in qualche modo sfiorato. Con il racconto Maxicamionista si cimenta in quel particolare sottogenere denominato rape & revenge, sviluppatosi principalmente nel cinema exploitation dagli anni Settanta i cui film più rappresentativi e noti sono probabilmente L’ultima casa a sinistra (1972) e Non violentate Jennifer (1978). Il racconto è stato pubblicato nella raccolta Notte buia, niente stelle, una delle più cupe e violente di King e, visto il tema, stupisce che sia stato adattato per la televisione piuttosto che per il cinema. In qualche modo la coppia composta dal regista Mikael Salomon (al suo quarto adattamento kinghiano) e dallo sceneggiatore Christian Matheson (invece al secondo), riescono a confezionare un film che, nonostante tradisca la sua dimensione televisiva, si colloca, tutt’altro che scontatamente, nel gruppo delle produzioni medie tra gli adattamenti dal Re. Come in diverse opere di King, il protagonista è uno scrittore, Tess Thorne, una scrittrice di innocui gialli da camera in questo caso. Dopo la partecipazione a una conferenza di un club femminile, decide di seguire il suggerimento dell’organizzatrice e, per tornare a casa, di prendere una scorciatoia (altro topos di un certo tipo di horror). La donna cade nella trappola tesagli da un enorme camionista (il Maxicamionista del titolo) che la violenta e la lascia per morta in un canale. Tess però sopravvive e invece di denunciare il fatto, decide di vendicarsi personalmente mettendo in pratica tutti quegli espedienti per realizzare il delitto perfetto che usava nella finzione dei suoi romanzi gialli. Non un soggetto originale quindi, fortemente derivativo ma che nella realizzazione mantiene vivo l’interesse dello spettatore per tutta la durata, anche grazie all’ottima interpretazione di Maria Bello nei panni della protagonista. A smorzare la tensione, che è comunque alta nonostante la violenza sia lasciata fuori scena, le gustose conversazioni di Tess con il navigatore satellitare dell’auto, che a un certo punto comincia a rispondergli, e con l’anziana e pragmatica protagonista dei suoi romanzi, proiezioni mentali dell’inconscio che, paradossalmente, le impediscono di impazzire del tutto. Il racconto è tradotto in modo fedele, con una piccola variazione nel finale e con una rilevanza ridimensionata di alcuni personaggi di contorno. Per esempio nel racconto, a differenza che sullo schermo, la protagonista medita il suicidio dopo il compimento della vendetta. Uno spirito cinefilo e citazionalista percorre sia il racconto sia il film. Tess, per prepararsi alla vendetta, studia guardando i film del genere come il già citato L’ultima casa a sinistra e Il buio nell’anima (2007), mentre nella propria situazione, rimanere bloccata in un luogo sperduto in balia di un bruto, riconosce un contesto simile a quello di film come Non aprite quella porta (1974).

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