Recensione su Best

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Un mito agitato e stereotipato. / 3 Gennaio 2014 in Best

E’ un ‘sei’ stiracchiato quello che tale pellicola raccoglie, forse per via dell’indiscutibile fascino dell’epoca in cui viene raccontato e per l’intrigante e controverso protagonista, George Best. Senza alcun dubbio il primo divo dello sport, quantomeno del calcio, lo spartiacque di un certo modo di intendere, oggi, certi calciatori, il personaggio che se volete, ha dato il là al connubio calciatore/star mediatica. Geroge Best fu il primo sportivo ad essere seguito dai rotocalchi e dalle cronache mondane e a suscitare nell’opinione pubblica un certo fanatismo accanito, un pò come con Elvis Presley il quale, a sua volta, fu la primissima rockstar. In sostanza, un modo nuovo, fresco di concepire un’attività, il calcio, in un’epoca in cui il turbinio di emozioni e rivoluzioni sociali era in primo piano. Si parla del ‘1968’, annata tumultuosa che coincise, magicamente, con la consacrazione della star calcistica Best, vincitore con il Manchester United della prima Coppa dei Campioni del club (prima squadra inglese ad aggiudicarsi l’ambito trofeo) e del Pallone d’Oro, suo riconoscimento personale per le prodezze di cui fu autore in campo.
Il film parte in un certo modo, sembra avere benzina, anche se la regia è anonima e l’attore John Lynch, scelto per il complesso ruolo, non sembra avere lo stesso fascino del reale, ma poi si spegne lentamente, relegando le vicissitudini del personaggio ad un susseguirsi di fallimenti personali, serate mondane, ubriacature e moralette iper streotipate. Anche il contesto storico si spegne inesorabilmente, perdendo così di fascino e accantonando il parallelo vulcanico della società di quel periodo, allo stato d’animo rabbioso, tutto genio e sregolatezza, del protagonista. La sceneggiatura ripiega su una celebrazione non troppo enfatica di Best, non cogliendo, probabilmente, le sue tante sfaccettature e contraddizioni, figlie di una notorietà che lo travolse e vittime del suo stesso ‘Io’, per puntare su un finale scialbo, pseudo poetico e appunto moralista stile soap opera, nel quale lui ci appare invecchiato, rinsavito e pentito, quando è noto che la storia andò in tutt’altro modo. Il biopic è da sempre un genere carico di compromessi e non può, se ha la pretesa di essere attendibile, distaccarsi troppo dalla realtà dei fatti, ma dinnanzi a questo si rimane alquanto perplessi ed annoiati, scivola via non lasciandoti niente, somigliando quasi più ad una fiction televisiva, sbrigativa e senza guizzi. Ed anche la soundtrack, che pure avrebbe da offrire, è alquanto deludente, se si escludono un paio di pezzi. Un peccato.

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