Recensione su Baywatch

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Scollature, panettoni, rigoglio sano di femminili ormoni / 4 Giugno 2017 in Baywatch

È mio dovere avvisarvi: questo film ha un enorme difetto.

Non è per tutti.

Come ogni opera a tinte fortemente intellettuali, infatti, la profondità dei suoi contenuti non è immediatamente raggiungibile dalla comune mente umana; al contrario, essa necessita di una concentrazione non indifferente e di un impegnativo sforzo psicologico da parte dello spettatore, che rischia di perdere le più sfuggenti sfumature dell’esperienza narrativa a cui si trova innanzi.

Amo il cinema da che ne ho memoria e credetemi, penso di non peccare di arroganza affermando che abbiamo qui raggiunto una vetta difficilmente avvicinabile da parte dei futuri prodotti cinematografici, che avranno in “Baywatch” un confronto purtroppo per loro impari e, temo, perso in partenza.

Un film pregno di contenuti filosofici, metaforici ed introspettivi.

Come Bergman, ma più tettoso.

Come Tarkovskij, ma con più addominali.

Come Godard, ma con più battute sui peni.

Novello Virgilio, con i miei umili mezzi cercherò di accompagnarvi in questa esperienza sensoriale e farvi comprendere attraverso i miei scritti quanto questo film, questa pellicola, questa… magna opera costituisca non solo una delle pietre miliari della storia del cinema, ma anche una delle fondamenta della cultura occidentale.

Partiamo dall’ovvio: le donne del film.

Questi angeli dalle forme giunoniche scesi da un iperuranio lontano e trascendentale non sono, come solo uno stolto potrebbe pensare, un espediente per attirare frotte di pubblico maschile dall’ormone birichino, ma fungono da chiaro richiamo al concetto più puro di femminilità: la maternità da cui tutti noi deriviamo.

Per quanto possiamo essere cresciuti a livello psico-fisico, ognuno di noi proviene dal grembo materno e dal seno, che allattandoci ha fornito a noi pargoli il primo nutrimento e la prima fonte di energie per affrontare il mondo.

Il continuo ed ipnotico sballonzolamento di tali enormi seni mediante una slow motion che oltrepassa di gran lunga il mediocre “Matrix” rappresenta nello specifico l’aspetto più imprevedibile della femminilità: la donna è un essere in continuo cambiamento ed evoluzione, un mondo in movimento da scoprire, ogni giorno sempre nuovo.

Quale genialità, quale meraviglia, quale epifania inoltre nell’ammirare la donna a contatto con l’acqua, immagine in cui solo i più ignoranti possono non cogliere il chiaro trait d’union con “La nascita di Venere”, capolavoro quattrocentesco del Botticelli a cui la pellicola strizza chiaramente l’occhio.

Ma “Baywatch”, da masterpiece quale è non si limita ad una delle metà del cielo.
No, sarebbe troppo facile: anche l’uomo deve essere innalzato.
The Rock non è semplicemente un omone simpatico usato per fare da piacione.
Zac Efron non è semplicemente il ragazzetto caruccio che gli faccia da spalla comica.
No, i loro fisici scultorei sono chiaro richiamo alle forme maschili perfette: essi sono dei David di Michelangelo, degli uomini vitruviani le cui carni spinte fisicamente al massimo fanno giustamente vergognare il maschio comune, il cui fisico assume la connotazione di quello del maestro Pregadio in confronto all’Übermensch samoano ed al golden boy di “High School Musical”.

Focalizzandosi sulle gag comiche, sotto un abilissimo travestimento da sgangherate puttanate esse celano un sottotesto dalla profondità filosofica e narrativa tranquillamente paragonabile al misticismo di Osho.
Zac Efron vestito da donna non è per nulla un patetico tentativo di risata facile tramite il trito espediente dell’uomo en travesti, ma anzi è diretto esempio del superamento della ormai limitante separazione tra i sessi.
Prima di distinguerci tra uomini e donne siamo innanzitutto persone: Efron donna è un messaggio di pace ed uguaglianza di grande memorabilità e spessore umano, un po’ la versione moderna dell’”Ich bin ein Berliner” di Kennedy o dell’”I have a dream” di Martin Luther King.

Le continue battute su peni e tette nascondono un evidente retrogusto amaro, che freudianamente si può estrinsecare nella difficoltà del corteggiamento e nello scontro tra razionalità sociale ed istinto animalesco, il tutto condito da un alone malinconico che non può non ricondurre la mente al comico ma allo stesso tempo triste vagabondo impersonato da Charlie Chaplin.

Ma “Baywatch” non si accontenta di scavare nella profondità dell’intelletto, vuole sfidare il pubblico, tendendogli una trappola.
La CGI del film è infatti veramente orribile: uno spettatore poco accorto potrebbe pensare “Porca puttana, ma questi effetti speciali sono lamme**a! Sembrano fatti con Windows 98!”
Ed è lì che casca l’asino: è ovvio che tale scarsa cura sia voluta, e questa è una sottile quanto sagace critica all’industria hollywoodiana stessa, che punta troppo sulla forma e poco sulla sostanza.
Come Ned Ludd a fine Settecento, “Baywatch” compie una coraggiosa opera di distruzione nei confronti della tecnologia, in quanto essa non è più servitrice dell’uomo, ma suo feticcio anti-sociale.

Quale mirabile inventiva.

Sugli attori, penso che dilungarsi sulle loro performance sarebbe offensivo verso Stanislavskij, Strasberg, Chekhov e gli altri grandi maestri della recitazione.
Se Efron e Dwayne Johnson hanno un’alchimia che supera di gran lunga quelle delle grandi coppie del passato (spazzati via Lemmon e Matthau, Martin e Lewis, Redford e Newman), il cast femminile offre interpretazioni la cui cristallina qualità trascende nettamente i limiti umani.

Se la bionda Kelly Rohrbach, che non riesco a comprendere come sia solo una modella di “Sports Illustrated” tanto è brava e naturale (ve la butto lì: siamo di fronte alla nascita della nuova Marilyn?) richiama sapientemente con i suoi infiniti primi piani sulle terga la celebre Venere Callipigia, la mora Alexandra Daddario conferma le straordinarie doti recitative già mostrate nell’eccellente serie tv “True Detective”.

Enormi doti recitative.

Così come il movimento impressionista si separò dai canoni artistici tradizionali dell’arte ottocentesca, così “Baywatch” traccia una netta linea di demarcazione nei confronti della Settima Arte come eravamo abituati a conoscerla.

C’è stato un prima di questo film e ci sarà un dopo questo film.

Capolavoro.

P.S.
– Per quanto il film sia costituito da due ore di scempiaggini, ammetto che la loro totale imbecillità ed il mai prendersi sul serio mi abbiano strappato ben più di una risata.
– Efron e Johnson come coppia comica hanno un’alchimia migliore di quanto mi aspettassi.
– I personaggi femminili sono dei tettuti soprammobili bidimensionali (a parte le poppe). Se siete maschietti non sarà un brutto vedere, ma anche i due fustacchioni citati sopra possono sollazzare l’occhio delle fanciulle.
– Le battute sono talmente tante che per la legge dei grandi numeri qualcuna per forza va a segno; la maggior parte sono simpatiche, dai.
– La CGI è terrificante.
– Come film trash-demenziale non neanche male.

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