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Il dittatore dello Stato libero di Bananas

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Fielding Mellish / 8 Luglio 2017 in Il dittatore dello Stato libero di Bananas

Nel suo secondo film all regia e sceneggiatura, Allen decide di dedicarsi al primo, e forse unico film, veramente politico della sua filmografia. Bananas appartiene ancora a quel periodo surreale, con gag visive; tuttavia se possibile le battute diventano più sboccate e argute, più vicine alla comicità autenticamente alleniana. La trama funziona abbastanza bene, non è più un collante per le varie situazioni, ma gode di una propria autonomia e ragione d’esistere.
Mellish è uno dei tanti alter-ego di Allen, inetto e nevrotico, che per puro caso si ritrova nella rivoluzione di Bananas, che rappresenta il classico paese sudamericano sotto dittatura (vedi Cuba).
E’ anche il primo film dove appare l’importante elemento della psicanalisi. Ancora ben lontano tuttavia dall’affrontare tematiche filosofiche o psicologiche e morali, Bananas fa parte di quella serie di film che Allen utilizzò per delineare la sua comicità, per ricostruire la sua comicità. Ricordiamo infatti che Allen propone un modo di fare commedia senza eroe, senza equivoci, e soprattuto senza un lieto fine. La trama non è altro che una manifestazione visibile dell’assurdità dell’esistenza.

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13 Gennaio 2013 in Il dittatore dello Stato libero di Bananas

Pungente commedia pseudo-politica su golpe e rivoluzioni di un fittizio stato sudamericano. Non annoia mai godendo di alcuni spunti davvero spassosi.

23 Settembre 2012 in Il dittatore dello Stato libero di Bananas

Una parodia surreale delle dittature del centro e sud America, in cui si alternano regimi militari a rivoluzioni popolari, con il miraggio della democrazia, ma che finiscono per rivelarsi a loro volta dittature (il riferimento neanche poi cosí velato è alla rivoluzione cubana e a Castro).
Ma è anche parodia di alcuni costumi del popolo americano, dalla presunta superiorità socio-culturale all’onnipresenza delle tv nella vita quotidiana.
Film iperbolico nella satira socio-politica che produce, adotta la tecnica della scenetta da cabaret, rendendo la trama abbastanza spezzettata.
Secondo film di Woody come regista, sicuramente non è il piú riuscito ma si fa ricordare per alcune delle scene piú esilaranti dell’intera produzione alleniana (su tutte, quella dal giornalaio e quella dell’arrivo in aeroporto con interprete).
In altri frangenti l’umorismo è piú surreale, seppur in sintonia con lo stile parodistico-farsesco della pellicola.
Il Woody degli esordi non è ancora l’intellettuale delle battute colte, ma utilizza comunque la cultura per un’ironia costruita. A tratti sembra di guardare uno dei film sudamericani di Bud Spencer e Terence Hill, a tratti si riconosce invece netta l’impronta alleniana (soprattutto nel dialogo con il capo della rivoluzione Castrado, che regala le classiche battute-understatement che hanno reso celebre il comico newyorkese).
Curiosi i riferimenti, anch’essi surreali, ad alcuni classici del cinema come Tempi moderni e La corazzata Potemkin. C’è anche una scena che ricorda il finale di Arancia meccanica, il quale peró è dello stesso anno e sarebbe quindi curioso capire chi ha ispirato chi (per chi volesse approfondire, abbiamo indagato in merito nel gruppo di Woody Allen, nella discussione “Chi ha ispirato chi?”, con risultati interessanti).
All’inizio compare anche un giovane Sylvester Stallone, in uno dei suoi primi ruoli da attore.

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19 Dicembre 2011 in Il dittatore dello Stato libero di Bananas

Nonsense un corno! Io il senso ce l’ho trovato. Come sempre Allen ne ha per tutti e questa volta se la prende, in maniera non molto velata ma sarcastica e divertente, con il perbenismo americano e non, dalla tv, alle finte rivoluzioni fino al sistema giudiziario.

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