16 Dicembre 2012 in Bakha satang

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Allora era uscito qualche anno fa Poetry, e lì ti veniva detto che andava visto anche Peppermint Candy. Ed eccoci qua. Manifesto su una ventina d’anni di storia della Korea del Sud visti attraverso le vicende di, uhm, boh, il nome del protagonista non lo ricordo, chiamiamolo Kim che tanto là si chiamano quasi tutti Kim, e comunque forse si chiamava proprio Kim. La struttura è capovolta, nel senso che si susseguono gli episodi della sua vita ma in ordine cronologico inverso, dal più recente ai più passati. Si inizia e finisce con un picnic, dapprincipio qualcosa di rievocativo, persone sulla quarantina cantano sul greto di un fiume. Al ritrovo Kim si presenta elegante, ubriaco e disperato, sale sul ponte e si fa investire dal treno. Comincia la storia a ritroso, per mostrare gli eventi che lo hanno portato fin lì. Era stato nell’esercito, era stato poliziotto, aveva represso le proteste studentesche torturando ecc, aveva lasciato il suo grande amore a causa delle vicende politiche del paese, amore a cui lo legavano appunto le peppermint candy. E niente, non l’aveva più trovato, si era sposato con un’altra e aveva avuto una vita infelice.
L’immersione nella cultura koreana a me affascina sempre una cifra, le canzoni, le tradizioni, anche senza una storia da raccontare. Figuriamoci quando la Storia è sullo sfondo, e a conoscerla un po’ meglio magari se ne sarebbe pure capito di più. Oh, comunque Kim all’inizio è proprio morto eh. I grandi eventi schiacciano, persone e sentimenti, ecco. E anche i treni, schiacciano.

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