Il sapiente mix di Villeneuve / 30 Gennaio 2017 in Arrival
Questo lavoro di Villeneuve possiede ciò che chiedo a un buon film e al buon cinema in generale: ribaltamento dei punti di vista/delle prospettive narrative, spunti di riflessione, interpreti “consapevoli” non solo del proprio ruolo ma della propria posizione nell’economia del racconto, attenzione al tono e al calibro con cui viene esposta la materia e non solo a una sua esposizione “a sensazione”. In breve, chiedo quello che si dice “intrattenimento di qualità”.
Molti di questi elementi sembrano escludersi tra loro e sembrano dimenticare l’empatia. Invece, credo che un buon risultato cinematografico scaturisca proprio dal loro giusto mix: per quanto la mano di Villeneuve mi sia sempre parsa, finora, un po’ gelida e asettica, a dispetto dei contenuti ampiamente drammatici dei suoi film, in questo caso mi pare che il regista canadese abbia affrontato argomenti complessi come l’incomunicabilità e la soggettività della percezione con un approccio che travalica consapevolmente il genere sci-fi e che sembra contemplare la compartecipazione, nel tentativo di coinvolgere psicologicamente ed emotivamente il pubblico attraverso un plot twist ponderato che gioca benissimo con il concetto di mente e memoria fallaci.
Nota a latere: come ne La donna che canta e in Sicario, la protagonista femminile (qui, una bravissima Amy Adams) si trova immersa in un mondo popolato in maniera quasi esclusiva da uomini e si scontra con essi, incarnando uno degli esempi topici di incomunicabilità, basato sulla differenza di genere. La linguista Louise Banks è, a sua volta, un alieno tra gli uomini e, puntualmente, ha bisogno di far comprendere il proprio linguaggio, prima di essere ascoltata.
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