22 Recensioni su

Arrival

/ 20167.4484 voti

arrival / 4 Febbraio 2018 in Arrival

a mio parere un capolavoro di genere, regala emozioni dall’inizio alla fine come quasi nessun altro è riuscito a fare. Mastodontica bellezza sci-fi da idolatrare per anni

Da vedere!!! / 16 Dicembre 2017 in Arrival

Dalla trama mi aspettavo un altro genere di film. Invece mia ha stupito positivamente, bella sceneggiatura molto intrigante!

Comunicare con gli alieni / 16 Novembre 2017 in Arrival

Visto dopo una giornata stancante e il mio giudizio è non definitivo.
Infatti l’ho trovato lento, complicato e un pò noioso anche se interessante.
Dodici misteriosi astronavi, soprannominuti gusci, appaiono in vari luoghi della Terra.
La linguista Louise (Amy Adams), viene chiamata dal governo nella persona del colonnello Weber (Forest Whitaker) per stabilire una comunicazione con loro; sarà aiutata dal fisico Ian (Jeremy Renner).
I vari passi nello stabilire la comunicazioni sono un pò lenti, mentre Louise fa strani sogni collegati al passato (o al futuro). L’ho trovato un pò confuso, anche se può essere che la mia mente non fosse lucidissima al momento della visione.
Pone anche un interessante interrogativo: proseguire sulla stessa “strada” anche se si conosce già il futuro?
Interessante ma lento, merita una visione più approfondita con la mente meno stanca.

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8 per l’originalità / 15 Ottobre 2017 in Arrival

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Premetto che non sono un’appassionata del tema “alieni e fantascienza”, per cui nutrivo alcune riserve su questo genere di film, bilanciate dalle aspettative create dal voto medio del film e dal parere di un’amica “cinematicamente” affidabile.
Questo film tratta l’argomento alieni in modo originale e profondo, focalizzando l’attenzione (forse per la prima volta in modo così preponderante) sulla quaestio della difficile comunicabilità con forme di vita diverse (e forse anche della difficile comunicabilità tra umani, nelle molteplici reazioni suscitate da questa “minaccia aliena”). Originale anche l’aspetto degli alieni (eptapodi, con sembianze di nebulose piovre dai 7 tentacoli) e il linguaggio “circolare” da essi adottato.Ottima idea, non banale.
Personalmente, mi hanno emozionato parrecchio le scene di contatto – ad alta tensione – della protagonista con gli extraterrestri, che alla fine, diversamente dall’80% dei film sull’argomento, sono anche buoni, tanto da offrire “un’arma” al genere umano: una percezione non lineare ma globale del “tempo”, in cui s’avvicendano con una logica non comprensibile presente, passato e futuro.
Fa la differenza sicuramente l’interpretazione intensa della bravissima Amy Adams, che nei panni della linguista dall’apparente fragilità, apprende il significato di quel dono/maledizione e ci rende partecipi del suo dramma: se sai già quale sarà il tuo futuro con annessi gioie e dolori che ti attendono, accetti lo stesso di percorrere quella strada?
Ed ecco che il tema più profondo pare sfiorare solo trasversalmente quello degli alieni.
E solo alla fine, da spettatori, si è consapevoli che quelle confuse e continue scansioni di vita vissuta della protagonista con la figlia, raccontano in modo non lineare il tempo, proprio come percepito dagli eptapodi.
In ultimo, una toccante colonna sonora, quella che accompagna l’incipit del film, tanto che nemmeno son passati i primi cinque minuti di film e sei già con il fazzoletto in mano e l’occhietto lucido.

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Fantascienza inusuale, risultato ottimo / 20 Agosto 2017 in Arrival

Altra grande prova di Dennis Villeneuve con questo film che propone una storia di primo contatto con un popolo extraterrestre, che però si evolverà in una maniera alquanto insolita eppure convincente. La protagonista è Louise Banks (Amy Adams), esperta linguista, che viene contattata dal colonnello Weber (Forest Whitaker) quando sulla Terra compaiono dodici gigantesche astronavi, chiamate “gusci”, in varie parti del mondo: lo scopo della task force, nella quale c’è anche il fisico Ian Donnelly (Jeremy Renner) è quello di riuscire a capire il motivo dell’arrivo degli alieni, ma stabilire un contatto con la strana e misteriosa razza aliena è tutt’altro che facile. Gli sforzi dei protagonisti producono piano piano delle risposte, ma con il mondo nel caos, e varie nazioni pronte ad attaccare gli alieni, il tempo stringe e c’è bisogno quanto prima di riuscire a trovare le risposte che servono. Fin qui tutto direi quasi “tradizionale”, ma poi, come è già capitato in altre opere di Villeneuve, la situazione si evolve in un modo del tutto inaspettato, se vogliamo anche piuttosto lontano dai canoni della fantascienza classica, ma alla fine tutto funziona bene: Villeneuve dietro la camera sembra una sicurezza (e speriamo che sia così anche per Blade Runner, non vorrei sbagliare), il cast funziona veramente bene, e, sotto un punto di vista visivo, la realizzazione è semplice eccellente. Come da titolo, evoluzione strana, ma d’effetto. Bravo ancora a Villeneuve.

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Carino, ma….. / 11 Giugno 2017 in Arrival

parte un pò lentino poi incuriosisce un pò, ma nell’insieme resta una pellicola nella media, senza tante pretese. E’ stato pompato troppo e ha creato troppe aspettative e alla fine sembra deludere,nonostante gli spunti molto buoni che aveva da sviluppare.
Il 6 non lo raggiunge. Non ricordo bene manco come finisce…. 🙂

Arrival / 8 Maggio 2017 in Arrival

Coinvolgente, spettacolare, con molti insight sucui riflettere

Alienesi tutti appesi / 27 Marzo 2017 in Arrival

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Lei è stata molto brava con quelle traduzioni dal farsi. Quindi (ma che wtf di collegamento sarebbe?) venga pure a tradurre quest’alienese. Così il colonnello Forest col suo occhio che balla dice a Louise, una linguista apparentemente abbastanza boooooring mi si consenta, ma proprio brava nè, che vive su un lago e già all’inizio si fa dei trip dove una figlia nasce/cresce/muore/mah. Un bel giorno e in 12 punti diversi, arrivano 12 navicelle spaziali a forma di semiguscio e si piazzano sospese. Va da sè, la cosa un ciccinin di bailamme nel mondo lo crea, con panico, saccheggi e ogni superpotenza impegnata a inviare studiosi nella pancia dell’astronave e studiare la sa-sa-situation. Louise, insieme a un fisico sapido, partecipa al gioco per il team USA! Quindi: innanzitutto chiudiamo il Montana. Bom, chiuso. Ogni 18 ore Louise, Ian e soldati stupidi entrano nella navicella, dove la forza di gravità se ne va alla belin di cane e c’è un vetro e dietro una nebbia e dentro due alieni con sette tentacoli (sì, in tutto 14), ribattezzati eptapodi o più amichevolmente Tom e Jerry dal sapido. A Louise di trovare il modo di “parlare” con loro per chiedergli “‘zzo volete da noi?” Intanto fuori il mondo si unisce, si divide, come la risolviamo, i cinesi fan le bizze come al solito (seguiti dal Sudan, ma figurati, il Sudan dai, che è già tanto se resta intero – ah no, l’hanno smembrato), e insomma, bisogna fare in fretta. Fine fiera: gli alieni scrivono nero di seppia e circolare (insomma, con questi alieni ci si potrebbe far un risotto) e non hanno un tempo lineare, imparando a comunicare con loro Louise riprogramma la sua mente al nuovo linguaggio e vede il futuro, da cui la figlia, da cui il bivio: che faccio se so il futuro ma so che va male ma andrà comunque male ma lo cambio il futuro (aka: mi faccio ingravidare dal sapido)? Restano sullo sfondo senza mai avanzare la minaccia e lo scontro, raffigurate più dalla paura e dal quel che succede intorno ai protagonisti, dalla frenesia dei media o dal batter di scudi dei capi di stati maggiori che voglion tirarci le bombe. Perché l’umanità che porge il dito agli alieni in questa visione di Villeneuve è unita o almeno unibile – invece secondo me noi prima gli butteremmo una bomba e poi chiederemmo chi è, secondo un vecchio adagio di Tex Willer; e gli alieni, che prendono un po’ dai vecchi alieni cefalopodi (o da quelli dei Simpson, per dire) e un po’ da Kubrick col loro aleggiare lì sospeso ed enigmatico, costringono le nazioni (e l’umanità) a parlarsi e rovesciare la visione guardandosi dentro attraverso l’altro. E bon, col trick del tempo che esplode il finale non ha troppo senso ma puoi sempre dire “eh ma il tempo non è più lineare” e motivar la qualsiasi.

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Una grossa delusione / 25 Marzo 2017 in Arrival

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Una grossa delusione, considerato lo hype smisurato che ha circondato il film fin dall’uscita. Una narrazione affrettata e piena di buchi, con gli scienziati che un attimo prima guardano perplessi i glifi incomprensibili dei viaggiatori spaziali e un attimo dopo si esprimono fluentemente in alienese; o con le nazioni che si apprestano a muovere guerra agli ospiti in puro stile fantascienza anni Cinquanta, in base a una valutazione leggermente irrealistica dei rapporti di forza. Una fotografia cupa, dai colori smorti, che rende la visione faticosa, con appena una o due invenzioni memorabili – i membri della squadra che si voltano a guardare il loro collega arrancante nel tunnel antigravitazionale, e per un attimo i loro volti appaiono minacciosamente inquadrati dall’oscurità; le astronavi che svaniscono come fumo all’alba (una libera citazione da Childhood’s End di Arthur C. Clarke, forse?).
Ma è l’idea centrale del film che fallisce miserabilmente. Ci vorrebbe una legge che impedisse a tutti i registi che non siano geni assoluti di trattare i temi dei paradossi temporali: ogni volta che qualcuno ci prova sono disastri. Louise comunica per telefono al generale Shang (la Cina sembra essere diventata una dittatura militare mentre nessuno guardava) il messaggio che lui stesso le trasmette nel futuro; ma il generale ripete ciò che ha sentito a sua volta da Louise nel passato. Domanda: chi ha escogitato il messaggio? Un genio potrebbe forse rispondere, o alludere a una risposta; un regista competente alluderebbe almeno al problema; Villeneuve non fa nulla di questo, limitandosi a ingarbugliare ancora di più la matassa nel momento in cui ci mostra Louise immemore nel futuro del contenuto del messaggio, come se non avesse mai fatto quella telefonata (che Shang invece ricorda benissimo).
Questa può apparire come una mancanza a livello puramente intellettuale; ma non lo è, perché si riflette in pieno anche sul piano emotivo. Nel momento in cui Louise diventa consapevole del futuro, cessa di compiere scelte morali autonome; tutto quello che fa è di aderire al proprio destino già scritto. Da personaggio diventa attrice, fedele al copione, e la scelta terribile che compie non è vera scelta: come avrebbe potuto agire diversamente, senza dar vita a un paradosso? Al massimo le potremmo rimproverare il suo evidente, poco comprensibile amor fati. Ma di questo nel film non c’è vera traccia; Louise sembra pensare di aver scelto, il suo futuro compagno pensa (penserà) che abbia scelto; cosa pensassero il regista e lo sceneggiatore delle proprie scelte non è dato sapere. E forse è meglio così.

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La noia / 11 Marzo 2017 in Arrival

Villeneuve si conferma un bravissimo regista, il suo film e’ bellissimo dal punto di vista scenografico ma non mi ha convinta per niente, troppo statico e noioso, troppo forzatamente melodrammatico in alcuni punti, quasi del tutto carente di emozioni e pathos.
Amy Adams e’ bravissima, regge praticamente tutto il film da sola ma per me cio’ non e’ abbastanza, l’ ho trovato irritante, un film che vuole passare per filosofico e intellettuale e alla fine risulta solo di una pesantezza mortale.
Peccato perche’ visto il potenziale si poteva fare molto di piu’.

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La Diluizione / 1 Marzo 2017 in Arrival

Per quanto mi riguarda Villeneuve è andato decisamente in calando, e ora comincio un po’ a “preoccuparmi” per Blade Runner 2049.
Questa fantascienza diluitissima, intimista, divinatoria, questa pessima deriva contemporanea inaugurata da Interstellar… Questo è un film drammatico che non ha il coraggio di presentarsi come tale, non ha l’onestà di schiaffare in sala un ruvido dramma famigliare (come fa Manchester by the sea, per fare un esempio) ma si veste da un Tarkovskij for dummies cercando, con il fragile sostegno di archetti perennemente gnaolanti e la faccia perennemente preoccupata della Adams, perifrasi filosofiche, ma scivolando altresì nelle più banali architetture narrative made in USA (che prefinale convenzionale, ma come si può).
E stavolta non c’è nemmeno l’àncora di salvezza della fotografia come per Sicario, visto che il grande Deakins è coinvolto nel progetto Blade Runner e per questa sorta di striminzito antipastino freddo è stato “preso a giornata” l’onesto Bradford Young.

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L’eterno ritorno dell’uguale / 14 Febbraio 2017 in Arrival

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

I bei film, secondo me, sono quelli che, a dieci minuti dalla fine producono la distensione dei muscoli, dopo ore di punti di domanda sulla trama, finalmente arriva il momento in cui capisci ogni aspetto della pellicola e tutto inizia a prendere forma, ad avere il suo proprio significato. Sono rari quei casi, questo per me lo è stato. Ho interpretato il linguaggio come mezzo per un’analisi della vita umana ancora più altra, ancora più alta. Sotto di ciò, nel nucleo del racconto ritrovo una delle teorie più complesse e affascinanti della filosofia – vuoi per deformazione professionale – l’idea dell’eterno ritorno nelle parole che Nietzsche pone alla bocca del profeta Zarathustra. L’eterno ritorno, l’idea del serpente che si morde la coda (ripreso anche dalla simbologia della scrittura aliena) prende temporalità e forma nella mente della dottoressa. Filosofia del linguaggio, traduzione radicale di Quine, usati per spiegare la Comunicazione, la base della ricchezza delle genti, un’arma, una forza.
Eugene Fink, uno dei tanti studiosi di Nietzsche, spiega l’eterno ritorno meglio di me:

“Tutti i progetti dell’uomo devono alla fine cadere, una salita senza fine non è possibile, poiché lo impedisce il tempo senza fine. In esso si esaurisce ogni forza; esso diventa padrone delle volontà più ostinate, spezza le reni anche alle più possenti speranze. Lo spirito della gravità riporta indietro ogni slancio e lo piega nella caduta…È chiaro che di fronte al tempo infinito ogni tempo diventa assurdo, ogni rischio senza motivo, ogni grandezza si rimpicciolisce. Lo spirito della gravità, qui inteso come coscienza dell’infinità del tempo, impedisce il vero protendersi dell’esistenza nell’apertura cosmica del mondo”.

“Il rapporto sintetico che l’attimo ha con sé in quanto presente, passato e futuro fonda il rapporto con gli altri attimi. L’eterno ritorno è così la risposta al problema del passare; esso perciò non va interpretato come ritorno di un qualcosa, di un uno o di un medesimo. Intendere l’espressione “eterno ritorno” come ritorno del medesimo è un errore, perché il ritornare non appartiene all’essere ma, al contrario, lo costituisce in quanto affermazione del divenire e di ciò che passa, così come non appartiene all’uno ma lo costituisce in quanto affermazione del diverso o del molteplice. In altre parole, nell’eterno ritorno l’identità non indica la natura di ciò che ritorna, ma, al contrario, il ritornare del differente; perciò l’eterno ritorno dev’essere pensato come sintesi: sintesi del tempo e delle sue dimensioni, sintesi del diverso e della sua riproduzione, sintesi del divenire e dell’essere che si afferma dal divenire, sintesi della doppia affermazione. L’eterno ritorno, allora, non dipende da un principio di identità ma da un principio che, per tutti questi aspetti, deve soddisfare le esigenze di una vera ragione sufficiente”.

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Noia eterna e spiegata male / 9 Febbraio 2017 in Arrival

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Non do 1 solo perché la Adams è strepitosa e gli alienozzi son simpatici vah. Ma lo sviluppo del film è di una lentezza tragica e la spiegazione finale è confusa e poco chiara.
Inoltre ,nella sua confusione delirante, sul finale scopiazza allegramente da Interstellar.
Alcuni momenti sono talmente lenti che mi sono addormentato, prima volta in vita mia che mi succede al cinema.
Assolutamente non capisco tutti questi votoni.
Classico film che alcuni definiranno “introspettivo” e “innovativo”…Altri , “una lagna insensata impacchettata bene”. Inutile dirvi in quale categoria mi colloco.

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Mah / 9 Febbraio 2017 in Arrival

In pratica avete già visto questo film guardando Interstellar, Indipendence Day e Contact. Il film in sè sarebbe anche piacevole se non fosse per l’abuso di inquadrature sfuocate.

Il sapiente mix di Villeneuve / 30 Gennaio 2017 in Arrival

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Questo lavoro di Villeneuve possiede ciò che chiedo a un buon film e al buon cinema in generale: ribaltamento dei punti di vista/delle prospettive narrative, spunti di riflessione, interpreti “consapevoli” non solo del proprio ruolo ma della propria posizione nell’economia del racconto, attenzione al tono e al calibro con cui viene esposta la materia e non solo a una sua esposizione “a sensazione”. In breve, chiedo quello che si dice “intrattenimento di qualità”.
Molti di questi elementi sembrano escludersi tra loro e sembrano dimenticare l’empatia. Invece, credo che un buon risultato cinematografico scaturisca proprio dal loro giusto mix: per quanto la mano di Villeneuve mi sia sempre parsa, finora, un po’ gelida e asettica, a dispetto dei contenuti ampiamente drammatici dei suoi film, in questo caso mi pare che il regista canadese abbia affrontato argomenti complessi come l’incomunicabilità e la soggettività della percezione con un approccio che travalica consapevolmente il genere sci-fi e che sembra contemplare la compartecipazione, nel tentativo di coinvolgere psicologicamente ed emotivamente il pubblico attraverso un plot twist ponderato che gioca benissimo con il concetto di mente e memoria fallaci.

Nota a latere: come ne La donna che canta e in Sicario, la protagonista femminile (qui, una bravissima Amy Adams) si trova immersa in un mondo popolato in maniera quasi esclusiva da uomini e si scontra con essi, incarnando uno degli esempi topici di incomunicabilità, basato sulla differenza di genere. La linguista Louise Banks è, a sua volta, un alieno tra gli uomini e, puntualmente, ha bisogno di far comprendere il proprio linguaggio, prima di essere ascoltata.

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Il lessico del tempo. / 30 Gennaio 2017 in Arrival

Villeneuve volteggia tra metafisica e spazio, tra geometrie del tempo e del linguaggio, ricercando nella parola un valore semantico.
Il suo Arrival, iconico e introspettivo, è un film, che pur addentrandosi in una science fiction dai sintagmi già forgiati, trova la sua avveniristica ragione nella comunicazione, in un’eloquenza persa a favore dell’immagine.
L’avvento, caratterizzato dalla comparsa di dodici astronavi aliene, avviene in un oblio ovattato di silenzi, fra vaste e immense radure, ove lo sguardo si perde per dare più enfasi al mistero. Ma Villeneuve non ne esacerba gli aspetti, il suo epicentro è l’essere umano, che si affida all’idioma per comprendere tutto ciò che per lui è ignoto. E così la fantascienza si fa uomo, o meglio, donna, andando a esplorare il suo intimo rapporto con il tempo.
Difatti, la cornice aliena, si può tranquillamente definire un cavillo, un’opportunità per rappresentare la diversità sotto un’altra forma, sebbene la stessa torreggi fra scambi di materia e luce, e fra ambiguità e simbologie ermetiche.
Il reparto sonoro contribuisce a rendere quasi catartica la visione, libera da un concetto forse troppo astruso come il tempo.

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Il migliore dei mondi possibili / 29 Gennaio 2017 in Arrival

Quando si parla di alieni le direzioni che il cinema può prendere sono due: gli Alieni dei Simpson oppure quelli di Spielberg. Da una parte si può proporre quello canonico, dall’altra quello incompreso ma fondamentalmente buono. Ma non mi era mai capitato di vedere un film che pone l’enfasi invece sulla comprensione, dando prima di tutto una definizione dell’alieno, prima di giudicarlo. Infatti gli alieni che arrivano sulla terra, in questo Arrival, sono ambigui, in attesa di un giudizio. Incomprensibili quasi quanto gli esseri umani, che dal canto loro, sono divisi. Alcuni pensano di poter comunicare con questi alieni apparentemente docili, altri credono che ci sia dietro una trappola.
E se il problema della comunicazione è un rompicapo apparentemente insolubile, occorre un personaggio che sia in grado di fare da tramite. E quel personaggio è l’eroina Louise, interpretato da un’Amy Adams a dir poco grandiosa. Inizialmente mi è sembrato un film abbastanza noioso, seppur originale. La prima ora è scandita da un ritmo molto lento, l’immagine è spogliata di dialoghi complessi, è accompagnata dalla musica, più che dalle parole (Kubrick docet). E contro ogni mia aspettativa questo film è riuscito a sorprendermi, senza abbandonare la sua coerenza. Riesce ad offrire uno spettacolo, senza abbandonare quei capisaldi che costituiscono la grande fantascienza. Ossia prendere un elemento straordinario per ragionare su un concetto ordinario. E in questo caso il concetto ordinario è un tema che io personalmente adoro, ossia la possibilità di cambiare il passato.
Trionfale infine è l’affermazione che ogni cosa nella vita, per quanto dolorosa e inaccettabile, è andata come doveva andare.

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“È bello, eh, l’uovo, Teo? Anch’io sono così, ogni volta che vedo un uovo resterei lì a guardarlo per delle ore.” / 23 Gennaio 2017 in Arrival

Diciamoci la verità, andare al cinema oggi non è più solamente un piacere. Ogni tanto, purtroppo o per fortuna -per gli amanti del brivido e della prodigalità-, guardare un film è diventato anche un bel rischio. Un pericolo cui la nostra epoca, non sempre pregna di idee innovative, ci espone e che puntualmente decidiamo di correre, a volte in maniera un po’ incosciente, altre, invece, con una certa dose di consapevolezza -odore di capolavoro o suicidio assistito che sia- acquisita qua e là, grazie ai “potenti mezzi di informazione” che la tecnologia ci mette a disposizione. Ma una cosa è sicura, quasi tutti quelli che ad un certo punto lo fanno, entrano in sala con una certa aspettativa.
Il film che ho visto ieri sera non è un capolavoro, è un’opera composta ed accordata, che si muove su un binario unico, ordinatamente per quasi tutta la sua durata. Ma porta con sé qualcosa di più profondo, qualcosa che si spinge oltre.

Quando guardo questo genere di film sono solito pensare alle uova e non per fame o per la forma delle astronavi “gusci” del film.
L’uovo per me rappresenta, molto ingenuamente, l’armonia nella semplicità, la bellezza incredibile e stupefacente delle piccole cose.
Capisco, però, che l’uovo possa non piacervi, allora fate finta che sia un cerchio, va bene lo stesso.
Tralasciando pure questo passaggio, Arrival è un film ben fatto.

Tratto dal racconto “Storie di una vita” di Ted Chiang, non stupisce più di tanto lo scenario nel quale la storia si dipana: gli alieni arrivano con i loro “gusci”, appunto, giganti e si posizionano su tutto il globo terracqueo, spargendosi un po’ tra i diversi continenti. Il Governo Americano mette insieme un duo di scienziati per comunicare con i nuovi arrivati. Questa è la sua cornice, il suo spazio. Una dimensione poco originale e già vista che, tuttavia, inganna. Qui sta la mossa “Kansas City” di Villeneuve, che ti fa andare da un parte mentre lui guarda da tutt’altra, ma con i tratti tipici di questo comportamento artato, dove la vittima è davvero convinta di sapere che il truffatore stia tentando di imbrogliarla.
E così, infatti, il regista sembra quasi voler scoprire subito il raggiro, levare la patina, alzare il velo. È ingannatore, ma gentiluomo. Desidera, quindi, che lo spettatore sospetti che si tratta di un artificio.
Personalmente, sarò un cretino, ma con me ha funzionato alla grande. Ho, infatti, vissuto l’esperienza di questo film con un’esitazione perdurante, standomene seduto sulla mia poltroncina, ripetendo continuamente a me stesso: “ma è davvero tutto qui ?” .

Non voglio farla troppo lunga, l’arte è in effetti solo uno strumento di comunicazione, che si esprime molto spesso sotto forma di un mezzo di trasporto sul quale si sale per andare da qualche parte. Quest’opera è così, ti distrae abilmente e ti porta dove vuole, per poi esploderti in faccia. Non è un capolavoro, Arrival è un giocattolo con un meccanismo che funziona bene, anche grazie ad una Amy Adams meravigliosa, perfettamente a suo agio nel ruolo assegnatole e ad una regia molto matura, curata ed attenta. Andate a vederlo se siete curiosi, se amate le sorprese, i sogni e se avete voglia di soffermarvi su un aspetto della natura umana che è egoistico e terribilmente romantico al tempo stesso. Nel dubbio, andate a vederlo.

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E ora temo per Blade Runner / 23 Gennaio 2017 in Arrival

Il seguito di Blade Runner in mano a Villeneuve? “Ottima scelta” mi son detto. Il regista è uno di quelli tosti, e finora mi ha sempre soddisfatto in pieno, Enemy e Sicario su tutti. Anche questo Arrival, una vera bomba. Villeneuve gioca a fare il Nolan, e ci riesce alla perfezione. Poi, a film praticamente concluso bam! Renner ti spiattella lì la frase più sdolcinata e “baciperuginosa” che si potesse concepire. “L’ha detto veramente?” mi sono chiesto. E sì, l’ha proprio detto per davvero. Come bruciare un filmone in un minuto finale. Che ti serva da lezione Denis. Per Blade Runner ti voglio al top.

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Trionfo del linguaggio, e del cinema / 23 Gennaio 2017 in Arrival

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Tutto in questo film ruota attorno al concetto di linguaggio. Esso può essere arma o strumento (due termini confondibili), può generare incomprensioni e conflitti oppure portare la pace tra gli uomini.
Un linguaggio universale, ecco il dono di questa civiltà extraterrestre. Un linguaggio in grado di condensare passato, presente e futuro. Ah, se solo esistesse davvero qualcosa di simile. Un momento, non è forse il cinema questo linguaggio?
A pensarci bene la comunicazione tra umani ed eptapodi avviene tramite un vetro che, a causa del fumo, sembra essere bianco. Un vero e proprio schermo cinematografico insomma. In più tale comunicazione è sempre verbale/visiva, mai fisica, la dimensione degli eptapodi (leggasi cinematografica) non è penetrabile, non del tutto almeno. Il personaggio di Amy Adams riuscirà infatti nel finale ad accedervi, e il suo corpo sarà visivamente contaminato dalla CGI, dalla finzione, dal cinema insomma. Aggiungiamoci pure che i due alieni vengono simpaticamente soprannominati Abbott & Costello e l’elemento metacinematografico appare evidente.
Il cinema è effettivamente un linguaggio, ed è sicuramente universale, persino più della musica. Certo, come ogni linguaggio va imparato, altrimenti si rischia di incappare in banali incomprensioni, come confondere un flashforward con un flashback, ma il cinema ha già dimostrato di saper unire popoli differenti.
È sicuramente una lettura romantica ed infantile, ma anche incredibilmente affascinante per chi da sempre ama questo linguaggio.

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“What is your purpose on earth?” / 20 Gennaio 2017 in Arrival

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

La domanda è il film…
Anzi uno dei due film racchiusi tutti in ARRIVAL.
Perché l’altro è la storia di Louise, linguista di fama internazionale e della sua figlia tragicamente scomparsa.
Non si parla di un film dove gli alieni invadono o fanno disastri.
Tutt’altro!
Questa pellicola si distacca completamente dai soliti ma in maniera molto originale intreccia queste due storie per poi inevitabilmente congiungerle.
Sicuramente è da vedere sul grande schermo. Si rimane affascinati dalla fotografia. Ma anche la trama è molto interessante.
Anche se ti lascia un po’ nella terra di mezzo.
Non è un capolavoro.
Non è una schifezza.
Qualche cosa forse manca.. o forse no… ma è la stessa sensazione che molti usciti dalla sala abbiamo avuto.
“What is your purpose on earth?”
In parte io ora lo so…
Ad maiora!

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Fantascienza come pretesto / 11 Gennaio 2017 in Arrival

Dodici navicelle spaziali, chiamate “gusci”, dall’insolita forma a fagiolo, attraccano sul pianeta terra in altrettanti distinti posti del globo. Ne consegue un’evidente instabilità sociale, ed ogni paese coinvolto comincia a studiare i gusci attraverso diversi approcci creando una rete di contatti mondiale al fine di condividere le informazioni. Luoise Banks (Amy Adams) è una delle più importanti linguiste degli Stati Uniti, ed ha già collaborato con i servizi segreti per la traduzione di documenti segretati. Sarà lei, insieme al fisico teorico Ian (Jeremy Renners) ad approcciarsi alla razza aliena, per tentare di creare un canale comunicativo e per chiedergli infine quale sia lo scopo della loro apparizione.
Arrival è un film che solo apparentemente parla di fantascienza. Anzi forse non ne parla affatto. Difatti la trama è un interessante srotolarsi attraverso la cultura umana, in particolare nei meccanismi che soggiacciono alle lingue, e ai problemi filosofici nonché pratici che si incontrano nella creazione di canali comunicativi ex-novo. Certo, il cinema è finzione, e la finzione è sintesi (quando non inganno) e questo porta ad ovvie semplificazioni, ma il discorso rimane tangibile in Arrival, così da apparire stimolante per lo spettatore. Poi c’è il motivo reale del film, il nocciolo di cui gli extraterrestri erano solo il pretesto per cui parlarne: l’umanità. L’unione (che comincia con un linguaggio comune) delle diverse culture umane è il potere nascosto che non riusciamo a vedere, l’arma definitiva che può spazzare via qualsiasi conflitto.
Allo stesso tempo il film sviscera una vicenda umana, intima, che è quella della professoressa Banks. Attraverso alcuni flashback (che avranno importanza cruciale nello sviluppo della trama anche sugli altri livelli, non solo quello personale) Il regista Villeneuve riesce a creare una narrazione parallela esaustiva, per quanto limitata, che riesce ad avere uno sviluppo e una degna chiusura. Una lettura in più per vedere il mondo in macro e in micro, tenendo allacciate le due cose.
Infine una menzione a Jòhann Jòhannsson, il compositore islandese che ha così bene impreziosito una storia sospesa tra il mondano e il trascendentale, che necessita di tutte e due ma ne scavalca entrambi i limiti.

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