Il fascino discreto della normalità. / 5 Novembre 2013 in Another Year
Al termine della visione di questo film, mi sono sentita divisa intimamente: da una parte, ho compreso ed apprezzato la linearità dei comportamenti dei protagonisti, placidi, saggi e, soprattutto, misurati; dall’altra, ho mal sopportato gli stessi atteggiamenti, perché praticamente impermeabili a ciò che accade loro intorno, in una maniera così realistica e riconoscibile da far male.
Come dire: degli “altri” è difficile amare ciò che notiamo appartenere (negativamente) anche a noi.
La vita di Gerri e Tom, i loro atteggiamenti nei confronti dell’esterno, di ciò che esula dal nido famigliare, nella loro semplicità, suscitano invidia, desiderio e sentimento di emulazione.
Per preservare questa struttura idilliaca, i protagonisti hanno costruito un velo impalpabile, ma percepibile, che respinge i fattori di disturbo. E’ un atteggiamento comune pressoché a tutti. Ed è perciò che la sua rappresentazione sconcerta lo spettatore.
Il dolore che avvolge come un’aura gli amici della coppia presentati nel film non è loro estraneo, poiché lo percepiscono, lo affrontano e lo assecondano, ma riescono a mantenersene lucidamente distanti, essendo consapevoli del fatto che solo chi ne è afflitto può liberarsene.
Leigh mostra una sensibilità non comune nel rappresentare questo sottile, quasi chirurgico approccio alla vita, tanto comune, ma difficilmente messo in scena con tale dolorosa sincerità.