10 Recensioni su

Another Year

/ 20106.994 voti

Il fascino discreto della normalità. / 5 Novembre 2013 in Another Year

Al termine della visione di questo film, mi sono sentita divisa intimamente: da una parte, ho compreso ed apprezzato la linearità dei comportamenti dei protagonisti, placidi, saggi e, soprattutto, misurati; dall’altra, ho mal sopportato gli stessi atteggiamenti, perché praticamente impermeabili a ciò che accade loro intorno, in una maniera così realistica e riconoscibile da far male.
Come dire: degli “altri” è difficile amare ciò che notiamo appartenere (negativamente) anche a noi.

La vita di Gerri e Tom, i loro atteggiamenti nei confronti dell’esterno, di ciò che esula dal nido famigliare, nella loro semplicità, suscitano invidia, desiderio e sentimento di emulazione.
Per preservare questa struttura idilliaca, i protagonisti hanno costruito un velo impalpabile, ma percepibile, che respinge i fattori di disturbo. E’ un atteggiamento comune pressoché a tutti. Ed è perciò che la sua rappresentazione sconcerta lo spettatore.

Il dolore che avvolge come un’aura gli amici della coppia presentati nel film non è loro estraneo, poiché lo percepiscono, lo affrontano e lo assecondano, ma riescono a mantenersene lucidamente distanti, essendo consapevoli del fatto che solo chi ne è afflitto può liberarsene.

Leigh mostra una sensibilità non comune nel rappresentare questo sottile, quasi chirurgico approccio alla vita, tanto comune, ma difficilmente messo in scena con tale dolorosa sincerità.

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19 Luglio 2013 in Another Year

Sono due ore di comune, banale e un po’ grigia quotidianità, inaugurate dai problemi d’insonnia di una depressa Imelda Staunton affidata alle cure di Ruth Sheen, qui nei panni di una psicologa sessantenne dalla vita matrimoniale felice. E subito un interrogativo ti assale, facendosi sempre più pressante mentre l’anno del titolo scorre inesorabile verso la fine: può una persona felice comprendere davvero l’infelicità e la solitudine di un’altra?
No, perché tutto ciò che davvero i due (quasi) protagonisti fanno è limitarsi a guardare dall’alto della loro felice routine quel piccolo esercito di infelici che, quasi come fossero due calamite, sembrerebbero attirare. Chinano la testa sconsolati dinnanzi al tracollo fisico ed emotivo dell’amico Mike, guardano con tirata e borghese accondiscendenza al comportamento poco educato di un nipote che, non a torto, non fa mistero di disprezzare il padre, e, soprattutto, non trovano di meglio da fare che compatire l’amica Mary (una bravissima Lesley Manville) per poi metterla alla porta non appena osa inclinare il loro felice quadretto familiare con qualche battuta brusca e stizzita; pronti però a riaccoglierla dietro tacita promessa di un ripristino dello status quo.
Una reazione più attiva la coppia la produce invece al momento di aiutare il fratello di lui, ma, anche qui, è un fatto più dovuto che realmente sentito, uno dei tanti doveri del normale ed educato vivere. E non è forse un caso se gli unici accenni di sorriso il vecchio Ronnie li avrà solo in compagnia di Mary.
Insomma, una coppietta da Mulino Bianco stantio con la quale non sono andato molto d’accordo, no.

“Another year” è una pellicola cruda nella sua banalità di vita quotidiana.
Tutti i personaggi portati in scena da Leigh (eccezion fatta per la ‘diabolica coppietta’) sono immersi nella propria solitudine, un male di vivere che naviga sui continui primi piani dei personaggi e sulla fotografia perennemente nebbiosa di una Londra periferica che appare essere il perfetto sfondo per una simile vicenda.
Dalla solitudine, ahimè, non c’è scampo. Certo si può tentare di scapparne, un po’ come il giovane Joe (la cui fidanzata, almeno per quanto mi riguarda, sembrerebbe più che altro essere, nella sua improvvisa discesa in campo, una mera reazione alle aspettative dei genitori), ma riuscire nell’impresa, il film quasi suggerisce, potrebbe essere piuttosto difficile. Perché il più delle volte, chiarissima l’inquadrature finale, si è soli anche quando circondati da gente.

E la Staunton?
Secondo me è ancora sveglia.

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Leigh! / 8 Gennaio 2013 in Another Year

Ancora una volta mi annoio e innervosisco davanti ad un film di Leigh. Sono convinta che non sia facile fare del buon realismo al cinema, ma non è quello che cerco davanti allo schermo!!!

22 Dicembre 2012 in Another Year

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Yeah, cinema coi veeeeechi, ormai glielo dico proprio così, alle persone, perché spero sempre che ci sia qualcuno abbastanza idiota da dire “bih, un film coi vecchi, che schifo”.
Ma quanto incommensurabilmente sei idiota, come se un film fosse bello o brutto a seconda che ci fossero nipoti o nonni. Queste son le reazioni degli altri che mi fan cascar le braccia, indeed! A una persona che offre ragionamenti del genere non dico sia da sparare subito però si delinea il campo d’azione, di sicuro.
Commedia seria di personaggi (veeeecchi), i protagonisti principali si chiamano Tom e Gerri (ahah), geologo e psicologa, gli altri sono la loro famiglia e cerchia di amici. Un anno della loro vita inglese, nei suburbs di Londra, scandito dallo scorrere delle stagioni nell’orto che lavorano, passa sullo schermo, sempre uguale e diverso, con tutte quelle piccolezze quotidiane e quei dolori abnormi e normali che la vita ti porta. E se non adesso sarà tra un po’. Il loro è un amore invidiabile, tutti gli altri amici di famiglia hanno una qualche solitudine o depressione che può esplodere da un momento all’altro, e a cui Tom e Gerri (ahah) cercano di porre rimedio. La segretaria mezza scema e sola, amica loro, ha tra l’altro la stessa Corsa vecchia che avevamo noi. La morte di un familiare arriverà a chiudere il cerchio di un altro anno, alla fine del quale nulla sostanzialmente sarà cambiato pur essendo successe un casino di cose. Ricorda nulla?
Da dire che Gerri quando s’offende è davvero stronza e, sempre, sembra una vecchia oca. Però sia loro due che la loro casa hanno una impressionante somiglianza con i miei zii in Belgio :/ soprattutto l’ingresso, era casa dei miei zii O_o

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Sentirsi soli in mezzo alla gente / 4 Maggio 2012 in Another Year

Mike Leigh ha raccontato un anno di una coppia felicemente sposata con un figlio che lavora fuori e di una loro amica (collega di lei) con grandi problemi sentimentali. Dolcissima, nevrotica e a volte imbarazzante quando in certe scene cerca di agganciare dei contatti ma che alla fine si trova sola anche se in mezzo alla gente. La scena finale della cena ne è una esempio incredibile.
Sentirsi soli in mezzo alla gente come se non contassi nulla. Bruttissima sensazione di frustrazione e indifferenza. Soprattutto se subita da persone a te care. Grande delusione.
Commedia molto amara e triste ma molto reale e ben fatta.
Anche se un po’ lento, ma a volte delle freddure sono delle perle.
Ad maiora!
#filmaximo

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Più vero del vero. / 23 Maggio 2011 in Another Year

È davvero incredibile la maestria di Mike Leigh nel tratteggiare la psicologia dei sui personaggi: Mary (la bravissima Lesley Manville) è più vera della mia vicina di casa. È davvero un personaggio incredibile, complesso, nevrotico. Nessun regista vivente avrebbe saputo fare meglio.

Buonanotte / 8 Maggio 2011 in Another Year

Mi ha fatto dormire, non ne ho capito il senso. Da Leigh mi aspettavo decisamente di più. Il voto è drastico, lo so, ma il giudizio su un film è assolutamente influenzato dalle aspettative. Sarei andata a vederlo comunque, sulla fiducia, anche se me ne avessero parlato male. Ma non mi è piaciuto per niente.

Un tipico “Leigh” / 10 Aprile 2011 in Another Year

Another Year è un film che si identifica facilmente fin dalle prime scene come una tipica opera di Mike Leigh, con tutti i pregi di questo autore ma anche con le caratteristiche che lo rendono indigesto ad una parte del pubblico.

La direzione degli attori è come sempre il punto di forza e mette in evidenza interpreti di grande talento ma a noi completamente sconosciuti (fatta eccezione direi di Jim Broadbent, il geologo, e di Imelda Staunton protagonista a suo tempo di un altro film di Leigh “Vera Drake” che qui ha un breve ruolo di paziente della psicologa all’inizio del film).
Fra gli altri spicca per bravura Lesley Manville, la disperata Mary, che (ho verificato su IMDB) ha alle spalle l’esperienza della partecipazione in innumerevoli serie TV inglesi. Ma tutti gli interpreti, senza eccezione andrebbero citati se non sospettassimo che una buona parte della loro riuscita deriva dal manico, dalla sapiente maestria di Mike Leigh che sa ottenere sempre il massimo dagli attori che dirige.
Altro consueto elemento a favore è la cura attentissima dei dialoghi in una sceneggiatura senza fronzoli o colpi d’ala, che narra di eventi e situazioni ordinarie, ma con straordinaria naturalezza.

Va da sé che se questo è un Leigh maturo non ci si può aspettare alcuna concessione spettacolare, e questa volta neppure un colpo di scena come in “Segreti e Bugie”, l’opera dell’autore inglese non a caso più amata e premiata dal pubblico, o qualsiasi momento di passione o tensione: solo alcune brevi scene affidate al personaggio di Carl che sta in scena pochi minuti ma determina il maggiore momento di pathos di tutto il film.
Per il resto sono la malinconia, il rimpianto e la pietà a dominare il clima del film che si può definire autunnale (anche se esso, come dichiara il titolo, è articolato lungo un intero anno…), così come senili o senescenti sono tutti i personaggi; ed autunnale è anche la periferia londinese piovosa e grigia dove la coppia porta i colorati prodotti dell’orto di campagna, come piccoli gioielli che cercano di conferire vita e colore ad un mondo irrimediabilmente privo di futuro.

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30 Marzo 2011 in Another Year

il titolo è la chiave di tutto il film: “Another year” – un altro anno. ora bisogna stabilire se quell’anno di cui sopra sia da considerarsi nell’accezione di “nuovo”/diverso dall’anno precedente, oppure come anno che semplicemente ripete il precedente, rimanendo uguale a se stesso. secondo me si tratta di più del secondo, almeno per quanto riguarda i coniugi Gerri e Tom, che vivono una vita felice, tra amici, lavoro appagante, figlio riconoscente, ricordi di avventure e bevute passate; ma che ripetono la loro felicità (da borghesi) all’infinito, prigionieri della routine, senza ombre sulla loro strada. tutti si appoggiano a loro, e anzi vorrebbero far parte della loro famiglia, come Mary, che crede di aver fallito tutto nella vita. però quando mostra di non approvare la fidanzata di Joe, il figlio della coppia, forse per gelosia, viene quasi allontanata. ritorna per scusarsi e trovare di nuovo conforto, eppure nell’ultima scena la vediamo a tavola con gli altri ma allo stesso tempo sola, con le altre voci che sciamano e gli occhi tristi. non sappiamo se si rifarà una vita, se cambierà, se lascerà quella famiglia in cui si era sentita tanto bene, ma che l’aveva anche fatta sentire infelice, incompleta. alla fine non si capisce se il film narrasse di lei o della coppia Gerri-Tom. bellissimo il finale e la scena in cui Mary chiede scusa a Gerri, che mi ha quasi commosso (e non mi era mai capitato per un film).

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1 Marzo 2011 in Another Year

Leigh ha sempre avuto una preferenza per le donne e sono due le donne che spiccano nel film e che aprono e chiudono in maniera agghiacciante l’intera storia: la donna all’inizio che non riesce a dormire, che non trova un solo momento di felicità dentro alla propria vita famigliare e che vuole solo un’altra vita; Mary, l’amica della coppia fulcro di tutte le vicende, che capisce infine il suo destino di assordante solitudine: non c’è un’altra vita.
Leigh narra un anno, un altro, uno qualsiasi, poteva essere il precedente o il successivo, attraverso 4 fine settimana incentrati su Tom e Gerri, quelli stabili, quelli non soli, quelli appagati che catalizzano amicizie e affetti tutti parimenti disastrosi, avvolti nell’alcol, nella fragilità, nella solitudine sociale e affettiva più cupa. Quattro quadri che sono la continuazione della terapia iniziale, di cui non vediamo lo svolgimento, perché gli amici si confidano, mostrano le proprie debolezze, ricordano la giovinezza perduta, guardano in faccia ad un presente annichilente spaventati dall’invecchiamento sempre più prossimo.
Noi non sapremo nulla della coppia felice, che è salda e unita, ti viene il dubbio, solo per contrasto alle vite degli altri, così pronti a ricevere il disagio altrui quasi come distrazione dalla propria vita che è occupatissima e piena forse per non fermarsi a pensare.
Bisognerebbe studiare il cinema di Leigh attraverso l’insistenza chirurgica nel primo piano: il viso è lo specchio dell’anima e come tale porta i segni del tempo, del disagio, della nevrosi, della paura. Nei suoi film non c’è contesto, semmai il contesto è la narrazione fluviale dei suoi personaggi. Più di altri film questo parla di persone più che mature, anche i più giovani, il figlio Joe e la sua compagna, si occupano di anziani: nella scena che introduce proprio Joe è sempre un anziano che deve essere difeso nei suoi diritti, come se non l’età di mezzo, ma la soglia verso la vecchiaia sia la nuova cesura sociale nei paesi occidentali.
Da quanta mediocrità è fatta la vita? Joe che non riesce a relazionarsi con i suoi clienti a causa di una banale percezione della diversità culturale, Mary che quasi crede in una possibile relazione con Joe.

Tutti gli eredi sono maschi. Questa differenza di genere è interessante, sono giovani mediocri come Joe, o completamente fuori contesto medioborghese come Carl (il padre non sa se è sposato, non si sa se lavora etc. ) . D’altronde se Carl accentua in maniera dirompente i passi falsi del padre (Ronnie non lavora, lo si ricorda sempre per pub e si fa mantenere dalla moglie), Joe forse non esaspera una certa mediocrità dei genitori?
Il momento finale di Mary che sorride a tavola, un sorriso tirato, e il silenzio che l’aggredisce, è davvero grande
Ps. Più procedeva il film più ho come avuto la sensazione che tom e gerri fossero un po’ menagrami

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