12 Recensioni su

Annientamento

/ 20186.2215 voti

Prisma / 7 Settembre 2019 in Annientamento

un genere che adoro, da un cinefilo visionario come Garland. Poesia

. / 31 Marzo 2019 in Annientamento

Orrore. Hanno trasformato la trama e il risultato è un qualcosa che non può neanche definirsi trash, per quanto è brutto e privo di senso.

Stalker in versione popolare / 29 Marzo 2019 in Annientamento

Una zona interessata da un’indeterminata attività aliena si rivela piena di pericoli mortali e di strani miracoli. Sembra la trama di Stalker, ma è invece Annihilation, che del film di Tarkovsky è in un certo senso la versione popolare, virando più verso l’horror che verso la contemplazione di un mistero che trascende la comprensione umana. Qualche debolezza nella trama (perché ostinarsi stolidamente a penetrare nella Zona, e non tentare invece un approccio graduale?), viene riscattata dal carattere dolente delle protagoniste, che cercano quasi tutte consapevolmente l’annientamento delle proprie vite travagliate in una missione suicida. Abbastanza efficace la struttura narrativa che va avanti e indietro nel tempo (anche se toglie qualche sorpresa). Con una Natalie Portman ancora più aggrondata del solito, e una vulnerabile Tessa Thompson, assai lontana dalla grinta della Charlotte di Westworld. L’umanoide della parte finale è Sonoya Mizuno (già ammirata in Ex machina dello stesso regista), che interpreta anche l’allieva insicura di Lena.

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Tale libro tale film / 8 Aprile 2018 in Annientamento

Mi aveva annoiata il libro (per onestà ammetto di non aver proseguito oltre il primo capitolo dalla trilogia, ma perché farlo visto che mi deluse profondamente viste le alte aspettative) e mi ha annoiata il film.

Annihilation/Annientamento / 8 Aprile 2018 in Annientamento

Alex Garland torna dopo 2 anni dal suo stupendo Ex-machina alla fantascienza, e non manca di contribuire ancora al genere forse più corposo del cinema, portando avanti il discorso già iniziato sull’umanità. Mentre, però, col primo lavoro si indaga sul contatto uomo-macchina ed esplora i sentimenti, qui il contatto uomo-alieno è un mezzo per indagare le cellule, la nostra materia più elementare, la nostra genesi come esseri viventi; ma anche difettose, causa delle malattie, della fine. Qui vengono declinate, in maniera incredibilmente brillante, lucida (una fotografia stupenda, e un cast, la Portman in testa, in palla) come contatto, che porta alla distruzione dell’altro e di noi stessi, ma anche come mezzo di crescita e arricchimento, che devono partire da altro perché noi e la natura e le sue leggi non lo consentono. Non un capolavoro (a volte troppo apodittico il tono dei contenuti e alcune scene lasciano l’amaro in bocca) ma certo una bella visione

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Filtri Solari e non solo… / 6 Aprile 2018 in Annientamento

Lasciate ogni speranza o voi che entrate, perchè in questa dimensione quasi onirica l’intellettualismo viene rifratto come la luce solare da nuvole, alberi e tende, dove l’oscuro e meschino subconscio la fa da padrone ancora una volta dopo Ex-Machina e anche se a volte pare una scusa per quattro scazzottate con plot-twist annesso, c’è di che divertirsi con lo sci/fi spirituale fatto di ombre e zanne, quelle di Garland che avrebbe voluto la spazialità e immersività del grande schermo ovunque.

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Lo sprofondamento del sé / 22 Marzo 2018 in Annientamento

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

“Dio non fa errori. Per questo è Dio.”
“Secondo me ne fa. Se prendi una cellula, e aggiri il limite di Hayflick, previeni l’invecchiamento. Significa che la cellula non invecchia più, diventa immortale. Si divide in eterno e non muore. L’invecchiamento non è un processo naturale, ma un errore genetico.”
Tale scambio di battute racchiude il senso del film “Annihilation”, diretto dal regista inglese Alex Garland, già sceneggiatore per Danny Boyle di due notevoli pellicole come “28 giorni dopo” e “Sunshine”, e qui alla seconda esperienza registica dopo l’ottimo “Ex Machina” (2012) con Alicia Vikander e Domhnall Gleeson. Nel caso di “Annihilation”, il soggetto della storia è tratto dall’omonimo romanzo di Jeff VanderMeer, primo capitolo della trilogia dell’Area X; ed è lo stesso Garland a curarne la sceneggiatura. La produzione è spettata anzitutto alla Paramount, mentre la distribuzione, se da una parte ha riguardato le sale di soltanto tre paesi (USA, Canada e Cina), nel resto del mondo è avvenuta sulla piattaforma virtuale di Netflix, facilitando un’errata e forse controproducente associazione da parte del pubblico: si è infatti creduto che anche la produzione derivasse da Netflix, la qual cosa, nei pareri di coloro che non hanno gradito l’opera, ha aggiunto un ulteriore e per lo più immotivato elemento di discredito.
Partendo dal titolo, in italiano è rilevabile una sorta di equivoco semantico, in quanto “Annientamento” suggerisce subito un’immagine di distruzione, di aggressione e cancellazione violenta, specie se il termine viene accostato ad una guerra o ad un’invasione nemica (e questa seconda circostanza sembrerebbe essere la stessa del film, sebbene l’interpretazione si riveli poi poco persuasiva). Curiosamente, il vocabolo inglese “Annihilation” mantiene al proprio interno la radice latina “nihil”, mentre la versione italiana, da “niente”, subisce la mediazione del francese antico “neiènte” (dall’etimologia incerta, forse con la contrazione di “ne inde”, “nec entem” o “ne gentem”). Qui poggia una differenza sostanziale, siccome l’etimo latino presenta una sfumatura più generica, meno materiale, quasi ontologica, e di conseguenza la parola inglese assume sottilmente il senso di “riduzione al nulla”, che in italiano equivarrebbe ad una sorta di “annichilimento” non unicamente sensoriale, cioè di passaggio da uno stato di essenza ad uno di sprofondamento – dunque di trasformazione – del sé: tradizionale idea religiosa tipicamente orientale. Sulla base di una simile discrepanza del significato, ci è possibile illuminare certe metafore del film che altrimenti rischiano di essere banalizzate o fraintese; e si può anche tornare all’argomento iniziale dell’errore genetico.
L’intera vicenda ruota intorno ad una zona misteriosa nella quale, in seguito al precipitare d’un meteorite, avviene un mescolamento di geni, con conseguenti epidemie tumorali e mutazioni incontrollate, dalle sembianze talora multiformi e variopinte, talora mostruose e terrificanti, che coinvolgono piante, animali e quindi uomini. Proprio il tumore si afferma come il grande antagonista della storia, almeno fino a poco prima della conclusione, dove la sua essenza maligna si scopre essere frutto di una volontà cieca e forse inconscia, ma pressoché vicina al divino: se l’evoluzione poggia in primis sugli errori genetici, tra i quali va annoverato anche il tumore, tutto finisce col diventare un enorme esperimento condotto dalla natura medesima. Ogni inceppamento, ogni anomalia, ogni difformità assume perciò il valore di uno stadio intermedio, una tappa necessaria in un flusso di inarrestabili tentativi, molto spesso mal riusciti, di modificare l’ambiente e di modificarsi a sua volta, da parte di un dio imperfetto e immanente, quasi un “deus sive natura” di spinoziana memoria, col solo dono della modellazione. Dunque un inconsapevole demiurgo, forse uno dei tanti che vagano nell’universo ospitati sopra stelle e meteore, da cui all’occasione proviene la vita, mentre la materia può essere solamente rimescolata secondo il principio di Lavoisier: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Ne derivano anche i riferimenti alla circolarità e alla ripetizione, mediante il recupero di certe inquadrature, rispettivamente all’inizio e alla fine (si pensi al bicchiere d’acqua) con lievissime differenze, e più apertamente, l’immagine dell’Uroboro sotto forma di tatuaggio che, dapprima evidente sul polso della compagna di viaggio (Gina Rodriguez), ricompare poi sul braccio della stessa protagonista (Natalie Portman) nell’assorbimento progressivo operato dal suo corpo delle varie informazioni, genetiche e non, rimbalzanti all’interno dell’Area X.
In modo analogo, senza troppo forzare la narrazione fantascientifica, si potrebbe estendere l’impianto interpretativo all’evoluzione esistenziale cui va incontro la donna, biologa e professoressa, attraverso un trauma di natura coniugale e sentimentale da affrontare insieme al marito militare (Oscar Isaac) e al collega amante (David Gyasi). I vari flashback avvalorano questa lettura; e così l’ultima scena, coi protagonisti stretti in un abbraccio quasi fraterno, andrebbe intesa come il compromesso che due individui debbono accettare se intendono oltrepassare una crisi, quando entrambi, sopravvissuti alla catastrofe, appaiono però mutati, in un certo senso sdoppiati rispetto al passato, con la comune esperienza eretta a nuovo fattore di coesione. Ciò consentirebbe anche di capire perché gli altri personaggi femminili, portatori sottopelle di un’indelebile tragedia, si abbandonino alla resa o alla distruzione. Eppure, dando per buono il suggerimento, è meglio non calcare troppo la mano. Il rischio di una tale chiave di lettura, se accolta nella sua interezza, potrebbe rivelarsi quello di sminuire il fascino ambiguo dell’opera, tanto sostenuto dai toni metafisici ed enigmatici, quanto da una raffinata impalcatura estetica. Poiché la vaghezza e la rarefazione di “Annihilation” costituiscono anche il suo punto debole, a causa di un intento di per sé meritevole ma eccessivamente sfilacciato lungo una serie di archi temporali gestiti in modo altalenante, specie durante la prima metà del film, e a causa di uno spessore filosofico che forse andava adeguatamente rimpolpato, rischiando altrimenti di sembrare superficiale e, in sostanza, vuoto, quando invece non lo è affatto.
Da apprezzare comunque la ricchezza di omaggi allo “Stalker” di Tarkovskij, la cui presenza si propaga dall’inizio alla fine come una radiazione di fondo, insieme ad altri ammiccamenti cinematografici, tutti di grande gusto: da “Apocalypse Now” a “2001: Odissea nello Spazio”, da “La cosa” a “L’invasione degli ultracorpi”.
Una nota di merito va senz’altro rivolta ad alcune sequenze in grado di sgomentare e turbare con improvvisa efficacia (il terribile urlo umano emesso dalle fauci dell’orso, ad esempio, suona a dir poco agghiacciante, almeno nella versione originale del film). Decisamente suggestivo il lavoro alle scenografie dell’Area X, valorizzate da una fotografia verdognola e bluastra, in una continua alterazione come per effetto di un prisma repellente e strabiliante che non cessa di riverberare ovunque.
In definitiva, quello di Garland non va inteso come un passo indietro, quale alcuni lo hanno giudicato rispetto ad “Ex Machina”, bensì come un apprezzabile passo all’interno dell’area esplorativa che la fantascienza da sempre pone al centro delle proprie indagini. Parlare dell’universo e dei misteri in esso racchiusi, infatti, significa parlare del destino, vicino o lontano, luminoso e indecifrabile, che attende ciascun essere vivente, incluso – e forse più degli altri – l’uomo.

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Identità/Alterità – Cambiamento/Distruzione / 19 Marzo 2018 in Annientamento

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Il nuovo film di Alex Garland esplora il concetto di cambiamento e la percezione negativa che l’uomo ha di esso, in quanto potenziale minaccia per la propria identità.
Il tema dell’identità, e del suo rapporto con l’alterità erano già alla base del precedente Ex-Machina, in cui il diverso da sé era comunque opera dell’essere umano. Al contrario in Annihilation l’elemento estraneo è del tutto “alieno” all’uomo, e per questo è da esso percepito come una minaccia ancora maggiore. Se in Ex-Machina si parla di sostituzione della componente umana, qui si parla invece di distruzione, a partire dal titolo.
Ma la distruzione è davvero negativa? Ed è davvero distruzione? Garland sembra suggerire più la visione di essa come parte di un processo assolutamente naturale di cambiamento. La morte, descritta come difetto di progettazione dalla protagonista, lo sarebbe soltanto dal punto di vista puramente umano. Allo stesso modo, la modificazione strutturale delle piante, analizzata dal personaggio della Portman non è classificabile come malattia, ma lo sarebbe se applicata ad un essere umano (come afferma lei stessa). Questo perché l’essere umano applica due metri di misura completamente differenti per identificare i fenomeni, uno per sé e uno per tutte le altre cose. Quando il cambiamento riguarda altro da sé allora è semplice evoluzione, ma nel momento in cui lo interessa direttamente, viene identificato come una minaccia alla propria identità.
Il bagliore non è altro che una zona in cui i processi di trasformazione risultano accelerati: lo stesso tatuaggio passa a più persone, così come nel mondo reale il contatto con qualcuno lascia qualcosa di esso in noi; e i personaggi perdono parte dei propri ricordi, così come spesso nel corso della vita eliminiamo i nostri, diventando di fatto persone diverse (un dialogo tra la biologa e la geomorfologa evidenzia proprio la connessione tra memoria e costruzione dell’identità).
La metamorfosi è inevitabile, dice Garland, ma non è assolutamente negativa. Il Bagliore ha una volontà aggregativa, non distruttiva. Smonta e rimonta ma non distrugge. Anzi, se fosse vero che tutte le forme di vita della Terra derivano dalla stessa cellula -e infatti molte cosmogonie partono proprio dalla divisione di una Sostanza unica in più parti- allora l’operato del Bagliore sarebbe in qualche modo ammirevole. Esso vorrebbe riportare tutte le cose ad una unica, unire tutte le diversità, superando definitivamente il contrasto tra identità e alterità, tipico invece dell’essere umano.
Il finale può essere letto anche in quest’ottica. Sia il personaggio di Isaac sia quello della Portman sono andati incontro ad un cambiamento, tanto biologico quanto allegorico, che li ha portati ad avere una sorta di “parte comune”, ed è proprio grazie a questo che sono in grado di ricostruire il proprio rapporto.

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Epidemia / 16 Marzo 2018 in Annientamento

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Prima, Duncan Jones con Mute. Adesso, Alex Garland con Annihilation. Quella che si annichilisce, qui, sono io… Non so: c’è un virus in giro? Una strana malattia che colpisce i bravi autori sci-fi, facendoli regredire di botto a un livello narrativo nettamente inferiore rispetto ai loro standard?

Dopo Ex Machina che, seppur non brilli per originalità di temi, poggia su una buona struttura narrativa e un’adeguata caratterizzazione di personaggi e contesti, credevo che Annihilation avrebbe confermato le doti di Garland anche nelle vesti di regista. Ebbene, posso dire che le mie aspettative sono state decisamente deluse.

Non ho letto la trilogia dell’Area X di VanderMeer su cui si basa il film, quindi non so quanto sia vicino alla sua matrice letteraria, ma mi pare che il lavoro di Garland abbia qualche (lecito) riferimento cinematografico illustre, come Tarkovskij e Kubrick.
C’è una zona dalle origini sconosciute, c’è l’uomo “contro” entità non meglio definite, ci sono (appunto) queste entità che apprendono dall’uomo e lo assorbono/contrastano/imitano attraverso un processo biologico (azzardo) osmotico.
Qui, in più, c’è il ruolo della donna mediatrice e/o combattente che sembra desunto da altri film di genere molto recenti (Interstellar di Nolan e Arrival di Villeneuve) o meno (Alien di Scott).

Però, a fronte di premesse stimolanti, in Annihilation c’è qualcosa che non va e non parlo certo di questo debito nei confronti di detti precedenti.
La mia impressione è che, di fatto, siano rimasti incerti gli obiettivi del racconto.
Il contesto artificiale (la zona), le situazioni e i personaggi mi sono parsi scarsamente delineati, a partire dall’urticante protagonista (una Portman a mio giudizio imbarazzante), scendendo fino alla scienziata della Leigh (prestazione altrettanto discutibile) e al contorno di donne intelligenti ma psicologicamente provate che fanno parte del team esplorativo (e che, forse, periscono perché sopraffatte dalla propria incapacità di superare i propri dolori?).

Fra gli elementi su cui insiste il film, mi pare ci siano un tentativo di rimozione del senso di colpa da parte della protagonista (forse che l'”alieno”-clone che la imita è da intendersi come un bolo emotivo e psicologico che la donna è stata in grado di espellere?) e qualche strana metafora su una natura imitativa della Natura (oh oh oh) che, mutatis mutandis, si appropria di proprietà umane (come, normalmente, fa l’Arte? La zona e il faro sembrano il parto di un decoratore Art Nouveau che ha fatto il viaggio della vita in Giappone), in una strana corsa evoluzionistica di cui mi è rimasto oscuro lo scopo (colonizzazione, rivoluzione, che altro? Ah beh, sì, l’annientamento – della specie, s’intende).

Nel complesso, con la sua oscurità narrativa, i suoi tempi dilatati, la sua stanca rincorsa filosofica e le sue carenze tecniche, Annihilation mi ha annoiata. L’udienza è tolta.

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Non è il libro / 15 Marzo 2018 in Annientamento

Avendo letto il libro (bellissimo, consiglio tutta la trilogia!) avevo delle grandi aspettative, che sono state purtroppo deluse. Molte differenze che vanno ad aumentare nel finale, completamente diverso.
Ho dato comunque la sufficienza (stiracchiata) perchè, provando a non considerare il romanzo, il film in sè non è male: mi è piaciuta l’atmosfera misteriosa e com’è stata creata l’Area X, anche se l’uso della cgi in certi punti non è il massimo.

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Il nuovo che avanza / 14 Marzo 2018 in Annientamento

Come per Arrival di Denis Villeneuve, la fantascienza di Alex Garland è donna, pur rispettando una linea narrativa ( Trilogia dell’Area X di Jeff VanderMeer ) già impostata.
Genere, quello fantascientifico, che per le proprie peculiarità non manca mai di generare antinomie e dilemmi.
Pur privo di orpelli scenici ( ambienti che soffrono di un gelido formalismo ), ”Annientamento”rappresenta la nuova linea di confine tra l’ideale e il contemporaneo, sempre più figlio di una filosofia teoretica e morale.
Garland scrive e allo stesso tempo dirige, ma è nella sceneggiatura che si snoda il suo rapporto tra uomo e natura, fra umano e diverso. Dualità che abbraccia l’intero universo.
Difficile non trovare nei protagonisti, assunti e analisi più profonde dei loro stessi caratteri, unitamente intrisi di fede e autodistruzione, tali da rendere la pellicola uno scandaglio dello scibile e della comprensione.
I tratti onirici ben si amalgamano allo stile criptico e sibillino del film, che dei suoi evidenti limiti ne ha fatto il suo labaro.
Tra le migliore opere distribuite da Netflix.

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Poco sapore, poca profondità / 14 Marzo 2018 in Annientamento

I soliti limiti delle produzioni Netflix, particolarmente quelle a tema fantascientifico. C’è un colore quasi falso, una sensazione di superficialità che in alcuni momenti ricorda perfino i film tv anni ’90 della domenica pomeriggio; nonostante l’impiego di tecniche all’avanguardia, questa sensazione di posticcio rimane, a cominciare dal layout grafico seriale, questi film sanno di lavori “su commissione” quasi laterali rispetto all’autentica esperienza cinematografica. C’è poco da fare: i film confezionati per visioni extra-sala hanno meno profondità, sembra quasi congenito. Dal regista e sceneggiatore di quel capolavoro che è Ex_Machina ovviamente ci si poteva ben aspettare un riassestamento, un “lavoro di transizione” magari verso il prossimo colpo magico. La sua mano c’è, il film non è dozzinale – ferme restando le sensazioni sopra descritte – anche se devo constatare amaramente che la figliolanza di Interstellar e Arrival, quella deriva intimistica che io mal digerisco, è ancora attiva. Sembra che l’eroe o l’eroina di turno non possa fare a meno di avere come conflitto interiore l’elaborazione di un lutto; dall’abitudine passiamo alla patologia, un po’ come è stato per lunghissimo tempo la condizione di orfani per gli eroi Disney. Sì ok, qui il lutto c’è e non c’è, ma siamo emotivamente da quelle parti lì (anche se le note del Neil Young più classico danno sentimento a un paio di buone sequenze). La Portman è brava, un ruolo simile a quello della Adams in Arrival, ma qui lei mi è sembrata più quadrata; invece non ho trovato all’altezza della protagonista le altre componenti della crew, personaggi grossolani a livello dei telefilm per adolescenti, compresa Jennifer Jason Leigh. A dir la verità neanche Oscar Isaac ne esce granchè bene. Per fortuna Garland gioca un po’ con il body horror, dando un po’ di sapore a un film altrimenti insipido.

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