Recensione su Io & Annie

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Anedonia / 27 Settembre 2018 in Io & Annie

Ma ve lo immaginate un regista comico, che alternava un film delirante all’altro, che nel ’77 vi presenta una commedia così differente da quelle classiche?
Una commedia realistica, che alterna le scene secondo i ricordi del protagonista, senza seguire l’ordine cronologico. Che buca la quarta parete, che spezza lo schermo sovrapponendo le diverse versioni dei personaggi, che mostra lo stacco tra ciò che un personaggio dice e quello che fa.
Insomma, Allen con Io e Annie non solo fa il salto di qualità, ma dice addio definitivamente alla sua parte assurda, e infantile, per entrare nel mondo degli “adulti” del cinema, a modo suo però. Inserendo quel poco di tragedia nella commedia, inserendo questo piccolo uomo outsider nel mondo reale, non più in quello slapstik. E i risultati sono fantastici.
Alvy è un comico, incapace di godere la vita, incline al sabotaggio, capace solo a sminuirsi, egocentrico e egoista.
Annie invece è una donna meravigliosa, ma insicura, che acquista passo dopo passo la sua grandezza, mano a mano che Alvy la conosce meglio, e la idealizza, e la apprezza, Annie acquista sfumature.
Le varie scene non sono più una sequenza comica dietro l’altro, ma un collage di eventi, frammentario, che forniscono allo spettatore un quadro generale, che rende l’opinione del suo autore senza imporla.
Ma ve lo immaginate, alla soglia del ’77, dove il modello della commedia era “Accadde una Notte” o “Scandalo a Filadelfia”, salvo qualche eccezione, dove le storie d’amore si risolvevano positivamente, dove erano escluse le tematiche della sessualità e la critica sociale, dove la trama era lineare e i personaggi non così sfaccettati. In questo contesto arriva Io e Annie che se ne infischia delle regole e pone invece l’arte, alla base della consolazione dalle assurdità della vita.
Alvy Singer, l’unico vero Allen, al massimo del suo splendore.

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