Videodanza distopica e romantica / 27 Giugno 2019 in Anima

Dopo la collaborazione del 2016 per il videoclip dei Radiohead Daydreaming, il regista Paul Thomas Anderson, avvezzo da tempo a realizzare video musicali, e il cantante Thom Yorke, frontman della band inglese, si ritrovano per il cortometraggio ANIMA, disponibile su Netflix dal 27 giugno dopo un’anteprima limitata in alcune sale IMAX.

Il corto di 15 minuti si srotola sulle note di 3 brani contenuti nel quarto album da solista di Yorke (Anima, appunto), Not The News, Traffic e Dawn Chorus. Il breve film di Anderson funge da traino promozionale al disco di Yorke (in vendita a partire dallo stesso giorno in cui il corto è andato online su Netflix), ma è anche un ottimo esempio di videodanza, una forma cinematografica che non si limita a mostrare in tempo reale una coreografia, ma che, invece, usa la danza alla stregua della recitazione canonica, avvalendosi del montaggio e degli altri accorgimenti tecnici utili alla realizzazione di un normale film (o videoclip musicale, appunto) per raccontare una storia narrativamente compiuta.
Qui, i brani di Yorke sono la colonna sonora di una storia semplice ma emblematica, che può essere letta sia come sogno che avventura.

Nel mondo distopico di ANIMA, le persone sembrano tutte omologate, a partire dalle calzature (una versione moderna dei tradizionali geta giapponesi). Yorke è in viaggio su un vagone della metropolitana dove tutti i viaggiatori, silenziosi, sembrano sul punto di addormentarsi. Per un attimo, lo sguardo sbilenco e malinconico di Yorke si incrocia con quello dell’attrice italiana Dajana Roncione (recentemente, è stata Loredana Bertè nel film Io sono Mia).
Da questo momento, il film può essere inteso sia come un viaggio onirico nella mente assonnata di Yorke (un uomo alla ricerca dell’Amore), sia come la rappresentazione in chiave musical di un’avventura romantica in una città (e, per estensione, in una società) fredda e impersonale che, con la sua asetticità brutalista (parte del film è stato girato a Praga), sembra rispecchiare la difficoltà degli individui a sviluppare sereni rapporti interpersonali.
Un po’ come in Brazil di Terry Gilliam, il personaggio di Yorke insegue un fantasma di donna che l’ha stregato con la dolcezza di uno sguardo capace di scardinare le convenzioni e gli usi a cui questa umanità muta e seria sembra soggiacere.

Con i loro movimenti sequenziali, ripetuti, incrociati, legati da un flusso narrativo ininterrotto, le coreografie di Damien Jalet ricordano efficacemente le parate delle marionette futuriste di Depero.

Gradevole e tecnicamente ineccepibile.

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