Dramma amplificato / 24 Ottobre 2018 in Angel Face

Presentato a Cannes 2018 nella sezione Un certain regard, Angel Face è il lungometraggio d’esordio di una videomaker, fotografa e musicista francese, Vanessa Filho.
In questo film, la sua inclinazione per il videoclip e la fotografia sono particolarmente evidenti nell’accostamento di immagini e musiche originali (principalmente, composizioni per archi), nella costruzione delle inquadrature e dell’illuminazione e nella grana delle immagini, dal sapore particolarmente pop. Forse anche per questo, esteticamente, Angel Face mi ha ricordato gli umori fluorescenti di Harmony Korine (Spring Breakers) e Sean Baker (The Florida Project, con cui -peraltro- ha in comune anche svariati elementi narrativi).

Il film della Filho racconta una storia drammatica e disturbante incentrata su una giovane madre scapestrata, Marléne (Marion Cotillard) e la sua bambina di 8 anni, Elli (l’esordiente Ayline Aksoy-Etaix, a tratti davvero impressionante). Padre non pervenuto. Alcool, forse droga, uomini che vanno e vengono, occasioni buttate: la vita di Marléne è precaria e, di fondo, triste e la bambina, che, pure in maniera acerba, ne è consapevole, brama affetto e stabilità. Per far ciò, per entrare in sintonia con la madre e con quello che reputa sia il mondo degli adulti, non esita a imitare la mamma, arrivando a consumare alcolici con regolarità.
Nessuno, tranne il buon samaritano Julio (Alban Lenoir), sembra percepire il dramma psicologico e fisico di Elli. Inoltre, la bimba comincia a essere isolata e discriminata dai compagni di scuola che, effettivamente, la percepiscono come un’entità diversa da loro, fino a mostrarle apertamente ostilità. Elli è molto bella, ha lunghi capelli biondi da sirena, veste in maniera differente, si trucca, indossa bigiotteria, non manca di avere lustrini sul volto, la maestra la elogia per la sua fantasia, è totalmente indipendente.

Purtroppo, le premesse interessanti del film (il ribaltamento dei ruoli madre-figlia, l’emulazione figlio-genitore) si infrangono contro una drammatizzazione esasperata (e un po’ esasperante) basata sull’amplificazione di vari cliché.
Nel complesso, il film è ben realizzato (e fa sperare bene in un secondo lungometraggio della Filho), ha personaggi ben caratterizzati e ha avuto il privilegio di incorrere in un pugno di interpreti calibrati, ma, nella sua esposizione del dolore, è troppo prevedibile.
Pur non negando che, nella realtà, esistano situazioni altrettanto particolari e tragiche, trovo che il film della Filho tenda ad autoalimentarsi di scene madri eccessive che smarriscono per strada una logica narrativa complessiva.

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