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Amy

/ 20157.477 voti

Fragile Amy / 19 Luglio 2016 in Amy

Volente e nolente, diciamo “per motivi generazionali”, sono stata tra i testimoni dello sviluppo della notorietà internazionale della Winehouse. L’ho amata dal primo momento in cui l’ho vista passare su MTV, con il video di Rehab: “Chi è questa ragazza? Chi è chi è chi è? Una grezzona con classe (quella cofana di capelli…), che voce, che suono, che mood”.
Per molto tempo, anche in Italia, radio, tv, web, riviste hanno parlato di lei, non sempre per la sua musica, ma sovente per la sua vita a dir poco sregolata. Le foto che la ritraggono ai minimi termini per le vie di Londra, sporca, struccata e molto magra, erano dappertutto e, all’epoca, non senza ironizzare sul suo aspetto disfatto (mea culpa), mi domandavo come fosse possibile che lei si esponesse così al pubblico ludibrio e, soprattutto, come mai nessuno sembrasse fare alcunché per impedire alla stampa di massacrarla così.
Col tempo, ancor prima che scomparisse, mi ero data una blanda risposta: forse, nessuno aveva davvero interesse a fermare niente, benché fosse chiaro che, in quelle condizioni, la Winehouse non fosse più in grado di scrivere o cantare nulla. Ad alcuni, probabilmente, era chiaro che la gallina dalle uova d’oro alimentava il proprio successo mediatico anche (e forse soprattutto) così. Quindi, perché fermare il carrozzone lanciato verso l’inferno?

Il documentario a tratti struggente di Kapadia, premiato con l’Oscar, sembra confermare drammaticamente la mia pallida intuizione: Amy Winehouse è stata sfruttata, umanamente e commercialmente, senza che lei stessa sia mai stata apparentemente consapevole o decisa ad opporsi a quanto accadeva.
Stando ai filmati e alle testimonianze raccolte da Kapadia, la Winehouse era una ragazza sensibile, testarda e complicata, forse portata all’autodistruzione (vedi, la bulimia e l’abuso apparentemente improvviso di stupefacenti), che, purtroppo, ha avuto la sfortuna di avere a che fare con le persone sbagliate e con altre distratte e incapaci di comprendere il suo disagio, o che, consapevoli di tutto, hanno preferito sfruttarlo o ignorarlo, invece di tentare di porvi rimedio.

Nonostante il buon risultato, però, al film rimprovero una grave mancanza in termini cronachistici che non so bene come spiegarmi se non con un fortissimo veto: nel documentario, non si accenna mai all’amicizia (se non, addirittura, alla relazione) tra la cantante e il collega Pete Doherty (Libertines, Babyshambles) suo compagno di sbronze ed eccessi vari, indubbiamente coinvolto nella spirale di decadimento fisico della Winehouse. Certo, è complicato riferire ogni dettaglio di una biografia, ma quella con Doherty è stata una parentesi lunga e (ahimé) ampiamente documentata, per cui mi stupisce che Kapadia l’abbia omessa senza colpo ferire.

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Struggente / 31 Gennaio 2016 in Amy

Il regista in poco più di due ore è riuscito a trasmettere le emozioni strazianti che hanno preso piede nella vita di Amy da quando aveva 14 anni, spero che vinca l’Oscar!

back to black / 17 Dicembre 2015 in Amy

Meraviglioso documentario con molti filmati originali sia pubblici che privati. Ci viene raccontata la fragilità della cantante ma anche la spietatezza del business musicale senza il taglio melodrammatico che spesso semplifica la realtà dei fatti. Non credo ci sia bisogno di commentare il personaggio, vi dico solo che ricordo perfettamente cosa stavo facendo quando ho appreso la notizia della morte.

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