Recensione su Amour

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13 Maggio 2013

Indietro non si torna. Credo che sia inutile sperticarsi sull’idea che Haneke abbia realizzato un film con l’intento di colpire chi ancora dipinga la vecchiaia come la stagione della placida e serena consapevolezza e della compiuta riflessione sul proprio io. Pur essendo una sfumatura della storia è riduttivo pensare che il significato di Amour sia solo questo. Certamente è più logico inquadrare la figlia dei due anziani coniugi come metafora di una società perlopiù indifferente e lontana (la frase che rivolge al padre nella prima scena, quando afferma che da piccola sentire i genitori che facevano l’amore er qualcosa di confortante, è a dir poco ridicola ed è un modo come un altro per lavarsene le mani e uscire dalla porta di casa con una frasetta semi-importante…di fatti la scena termina lì). Il rifiuto della malattia e l’ossessione per l’ospedalizzazione nel caso specifico rappresentano il modo con cui la coscienza sporca e l’egoismo vincono. Una figlia che perpetua il suo interesse personale di fronte alla madre morente è la summa dell’egoismo di oggi.
Il contraltare è un marito, un compagno di vita, devastato internamente ma capace di dimostrare amore in ogni gesto, in ogni attenzione, in ogni cura.
I film di Haneke colpiscono duramente lo spettatore, spesso per la ferocia e la negatività che portano in primo piano e lo stile diretto del regista contribuisce ancora di più a scalfire l’animo di chi guarda.
Per tutto il film non possiamo non provare compassione, tristezza e affetto per questa coppia abbandonata in una casa che sa di antico, di vecchio, di desolato, ma il messaggio positivo che si annida in questo film è rappresentato dall’amore di George per la moglie, dal suo continuo accudirsi di lei, motivato essenzialmente da un imperituro amore. Un amore così grande che lo porterà a riflettere sulla dignità e, ancora di più sull’incomunicabilità di tale amore.
La storia che George racconta alla fine credo sia la chiave del finale che molti apprezzano e tanti criticano. Non è una questione di religiosità o di politica, nè tantomeno di filosofia o etica, bensì di sentimenti: di amore, di paura, di sofferenza e dipendenza uno dall’altra.
Nell’essere critico e graffiante questo è il film di Haneke più positivo che abbia visto.
Bravissimi Trintignat e la Riva.

1 commento

  1. IamVertical / 17 Maggio 2013

    e bravo anche tu

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