1 Febbraio 2014
Questo psico-thriller della Harron indubbiamente colpisce e inquieta, tenendoti con il fiato sospeso per 90′ buoni, più che per il ritmo (a tratti un po’ blando), per la preoccupazione di scoprire fino a che punto possa spingersi la nefandezza criminale umana, quando associata all’insanità mentale. Finale a sorpresa, difficile da aspettarsi per come erano andate le cose.
Regia e soprattutto scenografie estranianti: gli asettici ed ovattati appartamenti della New York che conta, sembrano rappresentare l’habitat perfetto per la proliferazione di individui à la Bateman.
Buona l’interpretazione di Christian Bale nel ruolo del finto e superficialissimo uomo d’affari di giorno, assassino psicopatico di notte. Il suo contributo era fondamentale per la riuscita di una pellicola di questo genere e devo dire che non ha sfigurato per niente.
Interessante la satira degli yuppies di Manhattan di fine anni ’80, tutti esperti di fusioni e acquisizioni, ossessionati dalle tendenze (moda, locali esclusivi) e dall’estetica personale, ma che nascondono una vuotezza interiore preoccupante, che farà da apripista al decadimento socio-culturale degli anni a venire.
Ragazzi che non riescono a completare discorsi seri o che impazziscono letteralmente di gelosia per delle banalità quali il tipo di carta con cui il collega ha confezionato i suoi nuovi biglietti da visita (e qui c’è da riconoscere la genialità dell’idea di Bret Easton Ellis, dal cui romanzo è tratta la sceneggiatura e che per il resto non fa altro che farsi odiare con uscite ridicole, vedi quelle su David Foster Wallace).
Tanti omaggi, più o meno espliciti, ai capisaldi dell’horror, da Psyco a Non aprite quella porta.
L’ossessione del protagonista per la musica pop anni ’80 è l’escamotage per una colonna sonora interessante, che fa da sfondo ad una serie (francamente ridondante) di amplessi à trois.
Buona pellicola nel complesso, ma una generica sensazione di incompletezza lascia credere che, tutto sommato, si potesse fare qualcosa di più.
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