Accurata ricerca estetica / 12 Marzo 2016 in Amer

Il lungometraggio d’esordio della coppia di cineasti belgi-francesi Cattet-Forzani è un sofisticato omaggio ad un certo cinema italiano di genere degli anni Settanta con sconfinamenti oserei dire buñueliani: l’erothriller in stile Bava, Argento e, soprattutto, Martino (Sergio) rivive innanzitutto nelle scelte estetiche, per trovare piena affermazione in una serie di dettagli tecnici e formali particolarmente accurati.

Fin dai manifesti di impronta quasi serigrafica, il film richiama un preciso immaginario che ben si consolida nei tre segmenti principali del film corrispondenti ad altrettanti momenti-chiave della vita della protagonista.
Infanzia, adolescenza e maturità di Ana corrispondono ai vertici di un triangolo narrativo (perenne e cristallizzato): benché essi siano presentati secondo una progressione cronologica ordinata, la sequenza di lettura non è fondamentale, poiché ciascuno di essi si sostanzia indipendentemente dagli altri, pur essendovi connesso. Montare in un ordine diverso da questo i tre capitoli non inficerebbe la comprensione della vicenda.

Ciascuna sezione, inoltre, è suddivisa in una serie ininterrotta di frame, si tratta di una sorta di pinacoteca dinamica di cui sono soprattutto alcuni dettagli anatomici a costituire l’ideale filo conduttore: il potere dello sguardo, che rivela o altera la verità, risiede ovviamente negli occhi (perennemente inquieti), che non hanno requie neppure quando sopravviene la morte; la pelle si increspa, per il freddo o per il terrore; i denti incontrano l’acciaio e il sangue; le gambe sono veicolo di seduzione; i seni sono oggetto continuo del desiderio; guantate, le mani sono segno di indicibile pericolo.
Adottando una specie di rappresentazione onirico-surrealista del corpo femminile, ogni elemento che lo costituisce vale di per sé, come le parti, indipendenti e asportabili, di un manichino. Ana, la protagonista, può essere considerata come l’agente passivo di un’ossessione: la esplica e la subisce contemporaneamente. I suoi occhi, le sue labbra, le sue mani, ecc. sembrano strumenti al servizio di questo assillo.

I dialoghi sono pressoché assenti, praticamente sostituiti da un sonoro “posticcio” in cui dominano rumori d’ambiente e sospiri a metà strada tra l’ansia, l’agonia e il godimento (ancora un triangolo).

Nel complesso, Amer è un film molto interessante, che, se non per la trama, impressiona per la precisione della messinscena e per l’estrema cura dimostrata nell’allestimento: ogni inquadratura sembra essere stata studiata con largo anticipo, per ottenere precisi e calcolati effetti (di luce, fotografici…). Notevole la sequenza in cui Ana-bambina entra nella camera dei genitori e in cui viene adottato l’uso di un sofisticato monocromatismo che tanto mi ha ricordato alcune scene fondamentali de La coda dello scorpione di Martino (di cui, non a caso, viene usato anche un brano della colonna sonora composta da Nicolai).
Il rischio più grosso che il film corre risiede proprio nella sua estetizzata frammentarietà: la suddivisione in singoli quadri di ciascuna scena avvicina il film di Cattet e Forzani più ad un prodotto editoriale (un fumetto) che cinematografico, ma ciò non sarebbe un pericolo se l’eleganza e la compiutezza formale dei singoli fotogrammi che lo compongono non rischiassero di conferire più “valore” ai singoli frammenti che all’opera interamente assemblata.

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