Recensione su Love Exposure

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Love Exposure
Regia:

M / 23 Gennaio 2019 in Love Exposure

Film che ha tutto il fascino dell’assurdo: ma attenzione, non l’assurdo di un David Lynch, che gioca con la logica per rendere oscura l’interpretazione (e anzi, aprire un ventaglio virtualmente infinito di interpretazioni), bensì un assurdo aneddotico, perfettamente sensato e coerente nel mondo fisico, perfettamente comprensibile allo spettatore, ma del tutto non allineato con qualsiasi paradigma sociale (di qualsiasi società di qualsiasi epoca), a cui viene aggiunto l’esilarante esergo “Tratto da una storia vera”: non più il culto della vagina, concetto antico come il mondo per la sua simbolica fertilità e per il piacere sessuale che incarna, bensì il culto delle mutandine, il culto del feticcio sessuale per nessun motivo, perché in realtà non è neanche la mutandina che si anela (che almeno porta con se gli odori e gli umori della vagina), ma la sua immagine fotografata. Ma forse il vero culto non è neanche nelle foto, ma nell’azione stessa del fare la fotografia. L’arte della foto a tradimento sotto la gonna resa come premessa di pace, di perfezione spirituale, ma anche di martirio. In un’atmosfera talmente delirante e surreale da far schiattare dalle risate pur essendo un film serissimo.
Anzi, la prima mezz’ora è quasi da film naturalista, l’esatto contrario di tutto il resto del film (eppure, altrettanto bella): il figlio di un prete cattolico (avuto da un matrimonio precedente all’ordinazione), ossessionato a causa del padre dal peccato, inizia nell’adolescenza a sentire sempre più forte il desiderio di peccare e di trovare la sua Maria. E qui inizia il delirio. Si unisce a una banda di teppisti e questi lo presentano a una specie di santone che lo convince che il miglior peccato che può commettere è fotografare sotto le gonne delle ragazze, insegnandogli tecniche per farlo in maniera furtiva senza essere scoperto. Si tratta in realtà di un peccato relativo, perché secondo il santone si tratterebbe di un’azione di santità, punita socialmente proprio come venivano punite le azioni di santità di Gesù Cristo. Yu (il protagonista) ne diventa una sorta di sacerdote, che a sua volta insegna le tecniche agli adepti, con pillole di saggezza non indifferenti (“Tutti i pervertiti sono stati creati uguali”). La follia assoluta della premessa è però sommersa in una mistica che la rende serissima, ma la trama poi non sarà più incentrata solo su questo, bensì si dipanerà in maniera piuttosto complessa intrecciandosi con storie d’amore (mistico) e d’odio, di sesso e di teppismo, di sette e capitalismo religioso, con riflessioni non da poco sul concetto cristiano di peccato, con estasi mistiche e violenza, esplosioni e travestimenti, immagini mariane ed erezioni esagerate, eros e thanatos, comicità e dramma, misoginia e misandria. E poi la metariflessione: l’immagine, la fotografia, il cinema e la pornografia. È un film mondo in cui c’è tutto, parte come d’obbligo da una genesi religiosa per aprirsi verso un sovraffollamento di possibilità tematiche debordante e che fa capire l’entità del genio di Sion Sono: una roba così nessun altro poteva farla. Quattro ore intensissime che volano in un attimo.

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