Il buono e il cattivo / 22 Aprile 2015 in Quel treno per Yuma

Forse sarebbe ora di rivalutare Delmer Daves. Non che fosse un genio che ha rivoluzionato il cinema alla maniera di un Orson Welles o di un Alfred Hitchcock (per citare due maestri che hanno lasciato un segno indelebile nella Settima Arte ispirando le future generazioni di cineasti di ogni parte del mondo), ma la qualifica di artigiano attribuitagli da alcuni, oltre a stargli decisamente stretta, non rende giustizia alla sua bravura. Può essere considerato un artigiano uno che ha realizzato “La fuga” (1947), un folgorante noir girato in gran parte in soggettiva? Può essere considerato un artigiano uno che ha fatto “L’albero degli impiccati” (1959) e “Quel treno per Yuma” (1957), due eccellenti western che non sfigurano affatto se confrontati con quelli di John Ford, Howard Hawks e Anthony Mann? E non dimentichiamoci di altri lavori meritevoli di attenzione come “L’ultima carovana” (1956) e “La casa rossa” (1947), ingiustamente caduti nel dimenticatoio, che andrebbero recuperati e apprezzati per il loro alto valore.
“Quel treno per Yuma”, nel corso dei decenni, è giustamente diventato un classico del western, ma non tutti sono concordi nel ritenere che il film meriti tale titolo. Per alcuni, infatti, è sopravvalutato. Secondo costoro, “3:10 to Yuma” (così recita il titolo originale della pellicola, che nel 2007 ha avuto un remake non indispensabile diretto da James Mangold e interpretato nei ruoli principali da Russell Crowe e Christian Bale) è bello, ma non abbastanza da rientrare nell’elenco dei grandi western americani che hanno fatto la Storia del Cinema. E sia. Ognuno, d’altronde, ha le sue opinioni.
In questo film, ricavato dall’omonimo racconto di Elmore Leonard e sceneggiato da Halsted Welles, invece che puntare sull’azione, che pure non manca (specie nel finale), Daves preferisce concentrarsi sulle psicologie dei personaggi, in particolare su quelle dei due protagonisti, il cattivo Ben Wade (Glenn Ford) e il buono Dan Evans (Van Heflin), per realizzare un western psicologico in cui le parole contano di più delle armi da fuoco. Il primo è un criminale giramondo, il secondo un padre di famiglia che manda avanti un ranch tra mille difficoltà. Il destino fa incrociare le loro strade quando Ben, insieme alla sua banda di malviventi, deruba una diligenza uccidendo il conducente.
Dan, in compagnia dei suoi due figli, ha visto tutto ma, temendo per la sua vita e per quella dei suoi bambini, ha preferito non intervenire. Ben ha intenzione di scappare in Messico, ma ritarda la fuga per spassarsela con un’affascinante barista che soffre di solitudine, Emmy (Felicia Farr). Mal gliene incoglie, perché mentre i suoi compagni si dirigono verso il confine messicano, lui viene arrestato dallo sceriffo con la fattiva collaborazione di Dan, che per mettersi in tasca duecento bigliettoni, che gli servono per pagare i suoi debiti, si prende pure la responsabilità di scortare il prigioniero fino al carcere di Yuma, che i due uomini devono raggiungere in treno.
La parte migliore del film è la seconda, quella in cui Dan deve sorvegliare Ben in attesa che arrivi il convoglio che li porterà a destinazione, con il povero contadino che inoltre è costretto ad affrontare gli uomini del suo prigioniero, che sono disposti a fare qualunque cosa pur di liberare il loro capo, contando solo sulle sue forze. L’attesa per un treno che sembra non arrivare mai è resa magnificamente dalla regia di Daves, che sul piano narrativo crea una tensione crescente che culmina in un finale spettacolare, mentre su quello stilistico costruisce inquadrature precise e dettagliate sfruttando al meglio lo spazio in cui si svolge l’azione.
Durante il lungo dialogo tra Dan e Ben, lo spettatore è portato a chiedersi se il primo sia così onesto da fare il suo dovere fino in fondo, o se invece si lascerà irretire dalle chiacchiere del secondo, che tenta di convincere il suo guardiano a liberarlo dietro il pagamento di una somma di denaro. I quattrini hanno il potere di persuadere un individuo probo a lasciar andare un bandito, che si è macchiato di omicidio, mettendo così in pericolo le vite di persone innocenti? I soldi possono spingere un uomo perbene come Dan a far scappare un delinquente come Ben?
Il buono e il cattivo, il bene e il male, la rettitudine e la disonestà: Daves, da consumato regista ed esperto narratore, non concede nulla al manicheismo, tratteggia con minuziosa abilità i caratteri dei personaggi, in modo da evitare di cadere nella trappola dello schematismo, e il risultato che ne consegue è un western di pregevole fattura che gode di una meritata fama tra gli appassionati del genere.
Oltre che sull’attenta e solida regia di Daves, che nelle scene all’aperto filma i paesaggi con movimenti di macchina di ampio respiro, la pellicola può contare sulle ottime interpretazioni di Glenn Ford e Van Heflin, che danno vita a un bel duello recitativo che li vede entrambi vincitori, e sulla splendida fotografia in bianco e nero di Charles Lawton Jr., che conferisce al film un fascino senza tempo. La memorabile canzone che accompagna i titoli di testa, “3:10 to Yuma” di Ned Washington e George Duning, è cantata da Frankie Laine. Checché ne dicano alcuni, la Storia del Cinema Western passa anche da queste parti.

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