Recensione su Boiling Point

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I prodromi della filosofia cinematografica di Kitano / 19 Marzo 2016 in Boiling Point

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

(Sei stelline e mezza)

Benché, a mio parere, per via di un’eccessiva frammentarietà, sia in qualche modo meno compiuto del suo esordio alla regia (Violent Cop), Boiling Point possiede evidentemente in nuce molte delle caratteristiche tipiche del cinema di Kitano: la linearità e l’essenzialità della messinscena, l’atmosfera grottesca delle situazioni, l’esplosione improvvisa di una violenza sempre estetizzata .

Lascia interdetti il desiderio di vendetta di Masaki, il protagonista silenzioso: la sua affezione alla causa non sembra avere fondamenta e sviluppi espliciti (eppure, la scena conclusiva del film è davvero inaspettata e affascinante: il vaso è colmo, la misura è piena, l’aria è satura, il punto di ebollizione -per l’appunto- è stato raggiunto).
Nonostante questa incompletezza di fondo, accidenti, il film gira, funziona e non manca di lasciare addosso perfino una certa tristezza: come riassume il flashback finale, infatti, tutto inizia per via di una partita amatoriale di baseball terminata un po’ più tardi del previsto, un episodio che, visto a posteriori, permette di tirare definitivamente le fila della vicenda, esaltando la (quasi) logica consequenzialità dei singoli quadri narrativi.

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