Recensione su La parola ai giurati

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2 Marzo 2013

Unità di tempo, di luogo e d’azione: il primo Lumet è pura teoria aristotelica applicata al cinema, con grandi risultati.
Un impianto teatrale al servizio di ottimi interpreti, con un gigantesco Henry Fonda che, come non mai, ricorda un padre della patria: un viso, il suo, che potrebbe essere stampato su una banconota verde.
Nello zelo del suo personaggio, nella sua onestà e nella sua rettitudine, non manca certo un sotteso e retorico inno alla democraticità statunitense: la scena conclusiva, in questo senso, è esaustiva. Scale del tribunale, musica trionfalmente composta e Fonda che, minuscolo rispetto alle colonne del severo edificio, si allontana dopo aver compiuto il suo faticoso dovere: più stelle e strisce di così… Detto ciò, nulla va tolto ai meriti cinematografici di questa pregevole messinscena, in cui l’uso delle luci e del bianco e nero esaltano il senso di claustrofobia della narrazione, scandagliando con sapienza (e con qualche stereotipo di troppo) i “generi umani” ben rappresentati dagli uomini che compongono la giuria.

Tempo fa, all’interno di una raccolta di scritti gialli, lessi un racconto di Vincent Starrett che si intitolava L’undicesimo giurato: è praticamente identico alla trama di questo film, però, in Rete, non ho trovato alcun collegamento tra i due. Qualcuno ne sa qualcosa di più? 😉

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