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Seoul Station

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Critica didascalica ma efficace alla società coreana / 21 Febbraio 2022 in Seoul Station

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Il lungometraggio d’animazione Seoul Station è il prequel (forse, più ideale che narrativo) del film in live action Train To Busan (2016) diretto dallo stesso regista, Yeon Sang-ho (a parte il luogo, mi pare che l’unico “tangibile” punto di contatto tra i due titoli sia la presenza del senzatetto che, nel film con attori veri, si nasconde sul treno per Busan, in stato di agitazione, e viene trovato a ripetere, da solo: “Sono morti tutti”, come se avesse assistito all’avvento dell’apocalisse zombienella stazione della metropolitana e ne sia sfuggito).

Forse ancora più di Train To Busan, Seoul Station è una didascalica ma efficace critica alla società coreana contemporanea metropolitana, violenta e annichilente.
Il colpo di scena sul (quasi) finale è decisamente azzeccato e amplifica la metafora del film (altro che zombie: i mostri esistono già e camminano tra di noi, indisturbati).

Nota a latere, purparlé: finora, non avevo mai avuto a che fare con prodotti coreani (film, drama) con un turpiloquio così ricorrente come quello presente in questo film. Non ho idea di come la lingua coreana contempli l’uso delle “parolacce”. Quindi, o, in precedenza, i dialoghi (doppiati o sottotitolati) in cui mi sono imbattuta sono stati molto edulcorati, o -al contrario- qui l’adattamento si è concesso molte libertà espressive, magari per avvicinarsi con pretesa di naturalezza al parlato comune.

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Seoul Station / 14 Aprile 2017 in Seoul Station

Seoul Station, con la sua antinomia sociale, con il suo nichilismo logico e la sua scala di valori integrata, funge da prequel ( ossia una sorta di anticamera animata ) al live action ‘’Train to Busan ‘’, dello stesso regista ( Yeon Sang-Ho ), che ritorna quindi a quei lungometraggi animati permeati da un palpabile e concreto pessimismo.
Il topos è il medesimo, sedimentato nel genere ( zombie ). Quindi un impianto narrativo lineare, che nel linguaggio videoludico ha tutti i tratti distintivi di un survival horror; ma a differenza di altre rappresentazioni, i cosiddetti morti viventi, qui incarnati nelle logore vesti e negli affranti corpi dei clochard, nei loro mordaci intenti, celano invece una mobilità sociale, pronta a scalarne i vertici.
Il regista, così, omaggiando anche il papà degli zombie Romero, ritorna a dare spessore e contenuto al genere, con critica, denuncia e parodia, ma con tutti i crismi di una categoria spremuta forse fino all’osso.

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