Tolstoj / 27 Agosto 2015 in Il prigioniero del Caucaso

Kavkazskiy plennik – Il prigioniero del Caucaso.
Sergej Vladimirovič Bodrov

Guerra in Caucaso.
Un’imboscata porta al sequestro di due soldati russi, il giovane Vanja e il più vecchio Sasha (soprannominatosi “Sly” come Stallone), sono catturati da un uomo, Abdul-Murat, che vorrebbe usarli per uno scambio con i russi in cambio della liberazione di suo figlio prigioniero. Ha provato a riscattarlo con i soldi ma il capitano ha paura. L’unica cosa possibile allora, da realizzare con impegno ed astuzia, è quella di catturare i due soldati e chiedere uno scambio. Isolati dal mondo, i due soldati fraternizzano con il loro carceriere e con la giovane figlia Dina ma qualcosa va storto.

Nominato agli Oscar come miglior film, sviluppando partendo da “Il Prigioniero nel Caucaso” scritto da Tolstoj, Il prigioniero del Caucaso illustra il conflitto tra la cultura cecena e la cultura (militare e non solo) russa. Il film è uno scorrere continuo di divise, armi, usi, saluti, costumi, canzoni. Naturalmente il tema principale del film è il confronto personale fra i due soldati e il loro rapitore ma ampio spazio è dato al realismo, alla vita di tutti i giorni dei Ceceni: abbiamo così la vecchia che lavora nei campi con gli asini che trova il tempo di rimproverare Abdul di lasciare troppo tempo con i prigionieri russi; lo sporco sui volti e sulle mani dei protagonisti; la ripetitività della vita di vecchi e bambini, bambini che ballano balli tradizionali nei vestiti antichi e antiche macine che macinano grano.
C’è spazio per i momento tesi e addirittura per qualche risata ma il film resta quello che è, un dramma.

Ambientato fra le montagne del Daghestan, molti fra gli abitanti dei villaggi delle zone limitrofe vennero usati come comparse, nel film diretto da Bodrov ci si muove fra pastori Ceceni a cui è stata tagliata la lingua in Siberia dai Russi e soldati russi che da predatori si trasformano in prede. Ci si muove al buio, accade spessissimo e la cosa positiva è che il buio è reale. Il buio immerge questi due soldati, due soldati che da subito pianificano una fuga. Il buio immerge le due figure prigioniere, la fioca luce notturna illumina i volti. Ci si muove così nella miseria e nella natura. Numerose inoltre le immagini dedicate alla grandezza del paesaggio che “ospita” i due soldati, scene valorizzate dall’uso delle panoramiche orizzontali o dai campi totali e quelli lunghi. Probabilmente se vi aspettate di vedere un film d’azione o di guerra (intesa come i film di guerra che si vedono al cinema) rimarrete delusi dal film.

La guerra è onnipresente.

Si sente il suo peso ma si vede poco, è presente (<> e ancora <> mentre la scena dopo è un’inquadratura al dettaglio delle dita che disinnescano la bomba al buio) ma non è spettacolarizzata per il semplice motivo che non era questo l’obiettivo del film. Abbiamo un rapimento e abbiamo due soldati che affronteranno il rapimento in modo diverso. Le due diverse personalità emergeranno ben presto. Ve lo consiglio, se avete modo recuperatelo (qui sotto o in dvd)

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