Dall’eredità di Evangelion nasce la rivoluzione di Ikuhara / 2 Marzo 2014 in La rivoluzione di Utena

Shōjo Kakumei Utena, traducibile letteralmente come “Utena la ragazza della rivoluzione” è una serie d’animazione creata dal gruppo Be-Papas, una squadra di registi, fumettisti, disegnatori e vari. Un gruppo non particolarmente attivo (oltre a quest’opera hanno fatto solo pochi altri lavori) ma che indubbiamente ha lasciato il segno nella storia dell’animazione giapponese, dando lustro e luce ad uno dei suoi membri più rappresentativi, Kunihiko Ikuhara, già molto conosciuto grazie alla sua versione animata di Sailor Moon.
Utena si potrebbe definire tranquillamente un’opera figlia della scuola Evangelion, principalmente per via del suo processo di decostruzione di un genere o di una tipologia di racconto, per il suo difficile percorso di maturità dei personaggi, per la natura anomala e rovesciata rispetto ai canoni abituali e per la grande voglia del suo autore di ricorrere ad uno sperimentalismo che definire sfrenato è dire poco.
La rivoluzione di Utena può essere indicata come una fiaba, ma modellata giocando molto sui ruoli dei personaggi, sulla loro natura e su di un simbolismo astratto e ricercato. Una delle prove più evidenti è data senz’altro dalla figura protagonista della vicenda. Come Shinji Ikari, che in Evangelion presentava un rovesciamento della figura dell’eroe del genere mecha, apparendo passivo nei confronti degli eventi che si scatenavano e caratterizzato da una senso di enorme insicurezza e fragilità emotiva, così Utena è il risultato di un rovesciamento della figura tipica della principessa fiabesca. Per alcuni eventi accaduti in tenera età (alcuni inizialmente poco chiari), la protagonista segue un percorso di maturazione dove assume letteralmente il ruolo di principe a cui normalmente non potrebbe essere destinata (probabile che l’opera sia un po’ il debito con la Lady Oscar di Riyoko Ikeda). Utena ha così atteggiamenti e vestiti visibilmente maschili, ma è combattuta interiormente per il suo desiderio di trovare il principe dei suoi sogni, desiderio interpretabile forse come il legame con l’innocenza e la purezza dell’infanzia.
Come detto, nell’opera non si risparmiano i simbolismi, le metafore e i continui sperimentalismi da parte degli autori. La rosa e la spada sono forse gli elementi più ricorrenti, a cui non viene mai fornita un’interpretazione esplicita e chiara allo spettatore, il quale deve affidarsi unicamente alla sua capacità di giudizio. A me, personalmente, piace legare il primo elemento al cuore ed il secondo alla volontà. Durante la storia, i personaggi rincorrono questa fantomatica forza di rivoluzionare il mondo e per ottenerla ricorrono a duelli di armi bianche (le spade, appunto). Per vincere, essi devono strappare la rosa posizionata sul lato sinistro del petto dell’avversario (dove sta il cuore, guarda caso). E’ solo uno dei modi in cui questi elementi ricorrono ed interagiscono tra di loro. Ed è solo un assaggio delle interpretazioni possibili a cui lo spettatore può ricorrere.
Per giocare con la caratterizzazione dei propri personaggi e con il contesto mostrato, Ikuhara si diverte a lanciarli in tutte le situazioni possibili ed immaginabili, passando dal non-sense demenziale al risvolto drammatico-sentimentale. La serie tocca infatti spesso tematiche abbastanza scomode, come l’omosessualità, la violenza sessuale e l’incesto. Tutto però, è bene dirlo, abilmente trattato in maniera sfumata e senza essere esageratamente esplicito.
Il contesto fiabesco è anch’esso vittima dei capricci degli autori. L’opera in molti frangenti ricorda quasi uno spettacolo teatrale, il quale cambia continuamente genere a seconda delle esigenze narrative.
Sotto il punto di vista tecnico, la grafica non è forse delle migliori, ma la colonna sonora è davvero meritevole di ascolto (menzione particolare per la traccia che accompagna gli scontri tra i duellanti)
Un’opera quindi valida e sicuramente consigliata. Volendo trovare dei difetti, essi sono individuabili, a mio parere, nel lato più demenziale e nell’eccessiva lunghezza. Alcuni episodi non sembrano né portare avanti la trama né approfondire la psicologia complessa ed intricata dei personaggi, limitandosi unicamente ad esercizi di stile e di narrazione degli autori oppure alla ricerca di una comicità troppo surreale ed esasperata. I siparietti comici non voglio dire che siano noiosi, ma molte volte risultano esagerati e fuori luogo. Se l’opera fosse stata composta da un pacchetto episodi meno massiccio (Utena è formato da 39 episodi, divisibili in cinque archi narrativi differenti), forse l’apprezzamento sarebbe stato anche maggiore, seppur comunque di alto livello. Rimane senz’altro una serie da vedere assolutamente.

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