. / 8 Aprile 2019 in I promessi sposi

Prodotto dimenticato dai più, questa versione ’89 de “I promessi sposi” (l’ennesima), di cui sono venuto a conoscenza solo grazie al riferimento fatto da Solenghi in un aneddoto su di un’altra versione televisiva del romanzo manzoniano (quella del Trio) – ed è merito, per una volta, di RaiPlay se adesso posso essere qui a parlarne. Troppa la curiosità da parte mia, anche per i nomi che hanno preso parte alla realizzazione.
Il cast “stellato” annovera nomi di pregio, Alberto Sordi (Don Abbondio, non proprio una scelta fortunata in questo caso), Franco Nero (Padre Cristoforo), Burt Lancaster (il cardinale Borromeo), F. Murray Abraham (l’Innominato), con incursioni di gente come Dario Fo (indovinatissimo Azzeccagarbugli), Walter Chiari e altri da scovare qui e là, in cui si inseriscono i due scialbissimi protagonisti Danny Quinn/Renzo (allora moltissimo in voga, mi dicono, ma più per meriti dinastici che per altro – e forse non è un caso se qui è perfino doppiato) e una certa Delphine Forest/Lucia (e come Don Abbondio con Carneade viene da chiedersi: chi è costei?). Purtroppo non basta mischiare assieme ingredienti di livello per ottenere un piatto da Gambero Rosso. Anzi, il più delle volte, quando lo si fa, vengon fuori dei gran mappazzoni (per dirla alla Bruno Barbieri). E in effetti di questo si tratta, di un mappazzone.
Cinque puntate di approssimazioni, di semplificazioni, di “licenze”, di tagli, di spiegoni per mettere in bocca ai personaggi le famigerate digressioni manzoniane (non tutte, per carità, giusto quelle più inflazionate sulle “origini” di Padre Cristoforo e sulla Monaca di Monza, e qualcuna sul contesto storico). Il tutto sotto un’aria accademica, grave, da scuola, priva di quell’ironia e umorismo che può non conoscere solo chi non ha messo il naso senza pregiudizi sul romanzo originale (che, ok, è vero, è perlopiù drammatico ma non è tragico, ed è pure ricco di momenti da far sorridere proprio per alleggerire la narrazione), una roba che si prende molto sul serio quando invece lo stesso sciur Manzoni spesso e volentieri è il primo, nelle sue pagine, a non prendere sul serio i personaggi.
Noia, noia, noia. E tanto spreco. Nessuna sorpresa che sia scomparso dalla memoria del pubblico e di quella dei signori del Viale Mazzini.

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