Bakemonogatari, ovvero la bellezza del/nel guscio / 24 Ottobre 2013 in Bakemonogatari

Tratto da una delle fortunate serie di light novel di Nisio Isin, autore assolutamente sopra le righe per quanto riguarda stile e creatività, Bakemonogatari è una delle opere più discusse del 2009 e che ancora oggi riesce a far parlare di sé.
Un’opera capace di dividere gli spettatori nel più classico dei dualismi televisivi. Da una parte abbiamo infatti coloro che si mostrano avversi a quest’opera, poiché l’hanno trovata carica di difetti: eccessivamente confusionaria, carica di fanservice (se non conoscete il termine, vi invito a consultare wikipedia), ricca di stereotipi, dall’aspetto sì registicamente rivoluzionario ma sostanzialmente vuoto. Insomma, una serie dotata soltanto di un ben decorato guscio ma priva di contenuti veri e propri.
Dall’altra parte della barricata abbiamo invece la fazione degli estimatori, i quali non hanno trovato le scelte registiche chiuse ad un puro utilizzo a caso di sè stesse, ma vi hanno visto uno sperimentalismo intrigante. Non hanno storto il naso di fronte agli stereotipi, che hanno visto sì presenti, ma anche abilmente ribaltati da una prospettiva dedita perlopiù a una sorta di parodia estrema. E anche il fanservice, presente in maniera costante ma senza mai essere ossessivo, si manifesta in maniera quasi accennata. Sembra voler più che altro prendere in giro quelli stessi stereotipi presenti nell’opera e l’autore stesso sembra voler più che altro giocare molto con questi punti. Gli estimatori poi, vedono naturalmente ribaltato il punto chiave dell’analisi dell’opera: il guscio già citato per gli avversi, ricco di stereotipi, bello da vedere ma banalmente ripetitivo e cosparso di citazioni e situazioni che strizzano l’occhio al cosiddetto pubblico “otaku”, nella prospettiva degli estimatori non è altro che una decorazione per un “ripieno” audace e in grado di distinguersi dai prodotti di categoria.
E la verità quindi dove sta? Di solito si dice che essa è situata a metà strada tra i due estremi. Bakemonogatari è appunto questo: è un’opera che tratta di storie di entità, di spiriti, ma non lo fa, almeno non del tutto. Assume i contorni del genere harem, della storia del lui che fa innamorare di sé un’enorme pluralità di lei, ma alla fine non si presenta come tale. Mostra dei personaggi che incarnano i tipici stereotipi della commedia romantica giapponese, ma si staccano in maniera imprevedibile dai loro schemi pre-imposti. Ha uno stile registico audace, ma allo stesso tempo fortemente ossessivo. Ha un fanservice costante, ma che alla fin fine non mostra nulla. Sembra un prodotto comune, ma appare per molti diverso dalla massa. Insomma, Bakemonogatari è una raccolta di 15 puntate capaci di dividere nettamente chi si avvia alla visione su tutti i suoi punti di forza (o di debolezza), dalla regia ai dialoghi.
La regia spazia su tutte le scelte possibili ed immaginabili, dalla deformazione dei personaggi alla presenza di scene monocromatiche, con una grafica che a volte raggiunge ottimi livelli e a volte (a quanto pare volutamente, altrimenti non si spiega) rasenta la sufficienza. L’azione è dosata e si manifesta sempre in un modo del tutto imprevedibile, lasciando il resto del fardello da trascinare ai dialoghi, vera punta di diamante e miglior elaborazione dell’autore. Nisio Isin è bravo infatti nel modellare intere puntate su dialoghi all’apparenza banali, in realtà interessanti per l’elaborato modo in cui vengono generati e per come permettono lo sviluppo delle relazioni tra i vari personaggi (una sorta di stile tarantiniano, “sapete di cosa parla like a virgin?”), monologhi narrativamente esagerati che sono veri e propri flussi di coscienza inarrestabile e giochi di parole, marchio di fabbrica dell’autore, arguti e meticolosamente curati.
Bakemonogatari è quindi un’opera che non raggiunge la perfezione, ma paradossalmente sembra non volerla raggiungere affatto. Vuole intrattenere, ma lo fa a modo suo e mai in maniera banale, rimanendo, che piaccia o meno, un’opera originale e assolutamente dotata di uno stile proprio, raro da trovare in altre opere del suo genere.

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