Recensione su The Sacrament

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The Sacrament
Regia:

Anestetizzante / 21 Ottobre 2016 in The Sacrament

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

The Sacrament è la conferma che io e Ti West non ci intendiamo fino in fondo.
Permane e si cementifica, letteralmente, la sensazione che il “figlioccio” di Eli Roth sia un gran virtuoso della tecnica cinematografica, ma che non sappia gestire a dovere la materia narrativa.
A fronte di premesse sempre molto intriganti, infatti, la risoluzione dei suoi film, finora, mi ha sempre lasciata perplessa: puntualmente, a visione ultimata, ho la sensazione di aver perso il mio tempo.

In questo caso, West ripropone quasi pedissequamente un fatto di cronaca realmente avvenuto in Guyana nel 1978 e noto come il massacro di Jonestown, il più grande suicidio di massa della storia contemporanea (all’interno della comunità, sono stati rinvenuti più di 900 cadaveri): lo ambienta ai giorni nostri, cambia il nome del luogo e delle persone coinvolte, ci mette in mezzo la redazione di VICE, riduce il numero delle vittime.
Nonostante tali differenze, paradossalmente, stupisce in maniera molto positiva l’attenzione rivolta alla ricostruzione del luogo e alla successione degli eventi. Stando alle fonti documentarie, infatti, l’aspetto architettonico e l’organizzazione “urbanistica” della comunità del film ricorda molto quelli della vera Jonestown e anche lo sviluppo degli eventi coincide largamente con quelli riportati dalle cronache (perfino il colore del veleno, la foggia dei contenitori usati e i suoi metodi di somministrazione sono gli stessi).

La sensazione che il film ha generato in me lungo il suo dipanarsi è curiosa: azzardo a definirla anestetica, perché, pur mettendo in scena un dramma delirante, West non è stato in grado di inquietarmi davvero, placando la mia possibile paura con un film che mi è parso piatto. Non so definire nel dettaglio cosa manca a questo lavoro perché possa considerarlo riuscito. Certo è che, pur usando i cliché del thriller a sfondo gore (non è un caso che ricorra al mockumentary in stile Hooper per raccontare la storia di Jonestown), il film non è mai stato in grado di spaventarmi in maniera elementare.
Del “padre”, un pur bravo Gene Jones (celato dietro impenetrabili occhiali dalle lenti oscurate come il vero fondatore della comunità, Jim Jones, con cui condivide anche un impressionante caso di omonimia, legata anche all’assonanza dei nomi, oltre che dalla coincidenza dei cognomi), si fatica a cogliere la capacità manipolatoria: la scena dell’intervista rilasciata al giornalista di VICE è emblematica nella descrizione di un personaggio potenzialmente molto affascinante, ma irrisolto nella definizione del suo carisma che, a parer mio (leggasi, limite mio), si riduce perlopiù ad una capacità oratoria tipica delle comunità battiste e pentecostali. Benché il personaggio presupponga “per costituzione” dei chiaroscuri, questi non sono particolarmente evidenti: compaiono, ahimé, troppo fuggevolmente (es. l’uomo sembra, sottolineo sembra, avere rapporti intimi con la sorella del fotografo; poco prima della sua morte lo vediamo intento a sniffare droga…) per contribuire a definire agevolmente un “cattivo” a tutto tondo. Il plagio mentale e fisico nei confronti dei suoi accoliti mi è parso impalpabile, insufficiente a creare la giusta atmosfera disturbante.

Nonostante sia rimasta ancora delusa da lui, confesso che, in virtù del nostro felice primo incontro (The House of the Devil), aspetto comunque con curiosità il nuovo lavoro di West, In a Valley of Violence, ambientato (uh uh uh) nel vecchio West.

3 commenti

  1. TraianosLive / 21 Ottobre 2016

    Durante un intervista per il segmento realizzato ne “abc della morte”… Ti West ha detto “la gente dice ho un approccio lento. Se pensate che sono lento in 2 minuti non so cosa dirvi.” 😀

    Il ragazzo è consapevole di non essere un fulmine.
    “The house of the devil” è ancora inedito in Italia…cavolo ormai son passati 10 anni. Quanto devo ancora aspettare per vederlo?

    • Stefania / 21 Ottobre 2016

      @traianoslive: beh, io non parlo di tempi, ma di contenuti. Può prendersi tutto il tempo che vuole, per quel che mi riguarda: l’importante è che in quel lasso di tempo dica quello che ha da dire. Il problema, secondo me, è che risulta poco chiaro proprio quello che vuole dire.

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