Recensione su Arrival

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Fantascienza come pretesto / 11 Gennaio 2017 in Arrival

Dodici navicelle spaziali, chiamate “gusci”, dall’insolita forma a fagiolo, attraccano sul pianeta terra in altrettanti distinti posti del globo. Ne consegue un’evidente instabilità sociale, ed ogni paese coinvolto comincia a studiare i gusci attraverso diversi approcci creando una rete di contatti mondiale al fine di condividere le informazioni. Luoise Banks (Amy Adams) è una delle più importanti linguiste degli Stati Uniti, ed ha già collaborato con i servizi segreti per la traduzione di documenti segretati. Sarà lei, insieme al fisico teorico Ian (Jeremy Renners) ad approcciarsi alla razza aliena, per tentare di creare un canale comunicativo e per chiedergli infine quale sia lo scopo della loro apparizione.
Arrival è un film che solo apparentemente parla di fantascienza. Anzi forse non ne parla affatto. Difatti la trama è un interessante srotolarsi attraverso la cultura umana, in particolare nei meccanismi che soggiacciono alle lingue, e ai problemi filosofici nonché pratici che si incontrano nella creazione di canali comunicativi ex-novo. Certo, il cinema è finzione, e la finzione è sintesi (quando non inganno) e questo porta ad ovvie semplificazioni, ma il discorso rimane tangibile in Arrival, così da apparire stimolante per lo spettatore. Poi c’è il motivo reale del film, il nocciolo di cui gli extraterrestri erano solo il pretesto per cui parlarne: l’umanità. L’unione (che comincia con un linguaggio comune) delle diverse culture umane è il potere nascosto che non riusciamo a vedere, l’arma definitiva che può spazzare via qualsiasi conflitto.
Allo stesso tempo il film sviscera una vicenda umana, intima, che è quella della professoressa Banks. Attraverso alcuni flashback (che avranno importanza cruciale nello sviluppo della trama anche sugli altri livelli, non solo quello personale) Il regista Villeneuve riesce a creare una narrazione parallela esaustiva, per quanto limitata, che riesce ad avere uno sviluppo e una degna chiusura. Una lettura in più per vedere il mondo in macro e in micro, tenendo allacciate le due cose.
Infine una menzione a Jòhann Jòhannsson, il compositore islandese che ha così bene impreziosito una storia sospesa tra il mondano e il trascendentale, che necessita di tutte e due ma ne scavalca entrambi i limiti.

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