“Pulp Sound”: un saggio sul cinema sonoro di Quentin Tarantino

Grazie ad un saggio di recente pubblicazione, scopriamo l'architettura sonora e musicale del cinema tarantiniano composta da brani provenienti da contesti diversi, composizioni originali e suoni desunti dalla quotidianità e dal repertorio cinefilo del regista di Knoxville.

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ALLA SCOPERTA DELL’ARCHITETTURA SONORA DI TARANTINO: ECCO “PULP SOUND”

Nei film di Quentin Tarantino, la colonna sonora ha un peso tale che, negli ultimi anni, viene annunciata con largo anticipo rispetto all’uscita di ogni pellicola diretta dal cineasta statunitense, alla pari di una guest star di grande rispetto.
Composto dalle musiche, originali e non, e dal suono, in presa diretta o meno, l’apparato sonoro è un elemento inscindibile dalla narrazione tarantiniana: esso concorre a definire non solo il contesto in cui si svolge la vicenda descritta, ma anche il carattere, la storia pregressa e le azioni dei protagonisti.

Il libro Pulp Sound. Il cinema sonoro di Quentin Tarantino di Riccardo Sampino Mattarelli (Crac Edizioni, 2016) sviscera approfonditamente questo aspetto del cinema tarantiniano che, curiosamente, non sempre viene colto nella sua totalità, proprio per via della sua simbiosi con le immagini e il racconto.
Pur con qualche difetto formale, l’interessante saggio di Mattarelli spazia dal primo misconosciuto lungometraggio di Tarantino (MY BEST FRIEND’S BIRTHDAY, 1987) al suo ultimo successo (THE HATEFUL EIGHT, 2015), passando attraverso le sue incursioni televisive (E.R., 1995; C.S.I., 2005) e le collaborazioni antologiche (FOUR ROOMS, 1995): il testo analizza il fenomeno postmoderno e tarantiniano del cinema videomusicale, “dove il sonoro può tranquillamente adagiarsi sulle immagini, senza tenere conto di determinati contesti culturali, storici e di genere cinematografico”.

COLONNA SONORA MUSICALE E SONORO IN SIMBIOSI CON IL RACCONTO

Appassionato di musica quanto di cinema, nei suoi lavori Tarantino accosta musiche tra loro apparentemente discordanti, originali, ma soprattutto edite, provenienti sia dalle classifiche di Billboard che da altri film, con una nota predilezione per le composizioni firmate da Ennio Morricone, Riz Ortolani e Luis Bacalov, privando i brani del valore assoluto assegnatogli in sede di creazione e di uso primigenio: il cineasta di Knoxville “mette a disposizione del fruitore filmico tutto il suo bagaglio culturale di arte colta e popolare, in certi casi folkloristica, attingendo ad un repertorio tanto ampio e variegato da non avere un preciso filo conduttore che spazia dal pop de LE IENE (1991) al surf rock di PULP FICTION (1994), transitando nella black music che segna la cifra di JACKIE BROWN (1997), per defluire nelle sfide rap di DJANGO UNCHAINED (2012).
Se la musica ha un ruolo predominante nell’architettura narrativa tarantiniana tanto da costituire una sorta di sipario teatrale che decreta l’inizio e la conclusione di una situazione specifica, spesso delittuosa, il sonoro non è certo da meno. Spari, sgommate, motori in accelerazione o in frenata, radio all’interno di centri commerciali o di abitacoli di automobili, i rumori tipici di un diner affollato: mostrando doti notevoli di sound designer, Tarantino crea non solo un universo musicale variegato, ma un vero e proprio cinema di suoni, sfruttati spesso in modalità off (cioè, generati da fonti non visibili nella scena), familiari non solo perché alcuni di essi sono tipici della quotidianità, ma perché sono desunti da un preciso bagaglio cinematografico di genere, sia esso western o noir.
Vista la cura quasi maniacale dedicata alla scelta dei pezzi che compongono le colonne sonore dei suoi film, se non lo è per quel che riguarda la selezione dei brani, l’arte di Tarantino è sicuramente jazz per quel che riguarda “l’improvvisazione di determinate sonorità, tra loro differenti e distanti dal contesto sociale di appartenenza. (…) Il cinema tarantiniano è caratterizzato da una vitalità espressiva musicale molto variegata, capace di riconnettere il suo tessuto strumentale a servizio della sceneggiatura”.

Per chiarire meglio questo affascinante discorso, vi invitiamo a sfogliare il saggio di Mattarelli. Nel frattempo, abbiamo estrapolato da Pulp Sound alcuni elementi di natura sonora particolarmente significativi tratti dalla filmografia di Quentin Tarantino: buona lettura e… buon ascolto!

L’ETNOMUSICOLOGIA

Con il suo quarto lungometraggio, uscito nelle sale nel 1997, Quentin Tarantino si immerge in una precisa disciplina antropologica, l’etnomusicologia. I brani musicali scelti da Tarantino per JACKIE BROWN sono tra quelli della sua filmografia più consoni a descrivere i protagonisti della vicenda: “il punto di riferimento etnico dei personaggi è stato il fondamento stesso dei generi musicali nel film”. Ordell Robby (Samuel L. Jackson) ama il funky del ghetto, Jackie (Pam Grier) si allontana da un passato discutibile mostrando un animo romantico attraverso l’ascolto dei Delfonics, Max Cherry (Robert Forster) è un uomo bianco (senza una precisa identità sonora, come Louis – De Niro e Melanie – Bridget Fonda) che trova nella Brown una donna da desiderare e amare a cui si affida per essere definito in senso umano e musicale.
JACKIE BROWN è una rappresentazione metalinguistica della vita di strada che, grazie ad una colonna sonora black efficacemente mirata, si ammanta delle atmosfere tipiche della blaxploitation. Questo filone cinematografico esclusivamente statunitense affermatosi negli anni Settanta non rappresenta solo un termine di paragone ed un repertorio da cui attingere precisi codici espressivi: tale “dimensione filmica” è, letteralmente, “la maestra di musica che ha permesso al regista di unire l’immagine catturata dalla macchina da presa con il suono più appropriato”.

In DJANGO UNCHAINED, Tarantino “va oltre il semplice citazionismo, impossessandosi degli estremi culturali e storici di un’etnia”: Django (Jamie Foxx), lo schiavo liberato, è l’incarnazione di una nuova generazione di cowboy cinematografici, a metà strada tra gli eroi solitari del western tradizionale e gli MC delle gare di freestyle, “legittimati a scegliere la propria musica”, capaci di esprimersi con punchline taglienti con cui lanciano le proprie sfide.

L’IMMAGINARIO AMERICANO DEL CIBO

LE IENE e PULP FICTION si aprono in un luogo di aggregazione sociale tipicamente statunitense: il diner. In entrambi i casi, i protagonisti consumano la colazione e sono impegnati in una conversazione che non lascia presagire affatto lo sviluppo violento della trama: nonostante alcuni elementi curiosi (l’abbigliamento del gruppo di guitti e l’argomento dei loro scambi verbali ne LE IENE, per esempio) la naturalezza della situazione e dei dialoghi viene accentuata dal mormorio in sottofondo generato dagli altri avventori e dalla presenza di rumori oggettuali (passi, stoviglie, automobili all’esterno del locale). Prima che l’azione vera e propria abbia inizio, rumori e parole giungono come suoni off: tutto è “riconoscibile alle nostre orecchie, perché fa parte di una dimensione acustica esplorata molte volte. Il rumore delle posate e le parole indecifrabili della confusione rimandano a un aggregato culinario reiterato nella memoria uditiva”.

La familiarità dei suoni legati all’immaginario del cibo di largo consumo è fondamentale anche in un altro passaggio di PULP FICTION: Jules Winnifield (Samuel L. Jackson) e Vincent Vega (John Travolta) raggiungono il gruppo di ragazzi dimostratisi infedeli nei confronti di Marsellus Wallace (Ving Rhames). Nell’appartamento ci sono hamburger e bibite in bicchiere: Jules ne afferra una, bevendo in maniera sonoramente ostentata. “Il rumore della cannuccia all’interno del bicchiere viene ascoltato dagli astanti in perfetto silenzio. (…) Jules crea una tensione esasperata dal rumore stridulo del bicchiere vuoto”. I due sicari mettono in pratica “un meccanismo di attacco basato sulle parole, sui gesti e sui suoni”.

[Nella foto: Quentin Tarantino]

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