LA FEBBRE DEGLI SCACCHI (1925) di Vsevolod Pudovkin

scacchiLa febbre degli scacchi viene realizzato durante un periodo di pausa all’interno della lavorazione de La meccanica del cervello (1925), in pieno tumulto avanguardista sovietico.
Non a caso, in questa opera converge “tutto ciò che di più dinamico contava allora [per] il cinema (russo): il cine-occhio di Vertov, l’eccentrismo di Kozincev e Trauberg, il costruttivismo di Kulešov. Ma [si tratta di] una sintesi con valore critico, poiché, integrandosi ogni direzione con ciascuna delle altre ad esclusivo beneficio del buonumore e della libertà del linguaggio cinematografico, tutte si ricompongono in una medesima superficialità, un’identica esteriorità che ne definisce i limiti” [1].
La rappresentazione dei volti, tipicamente caricaturale, insieme alla mistificazione del montaggio, concorre al perseguimento dell’obiettivo principe di Pudovkin: il divertimento. Egli ha fatto proprie le lezioni del Laboratorio Kulešov relative alla “realtà ideale” [1] e sfrutta tali strumenti per creare le gag che costellano il film: “dopo parecchie scene reali del torneo di scacchi, una didascalia informa che una vera e propria epidemia di scacchi si è diffusa nella città. Si vede quindi un piede destro (con calzino a scacchi) alla sinistra di una scacchiera, poi (…) un piede sinistro (con piccoli scacchi disegnati sulla spighetta della calza) a destra. La logica del montaggio ci convince della presenza di due giocatori, ma un piano medio ci rivela che ce n’è uno solo: la febbre allora acquista tutto il suo senso” [1].

[1] Bartélémy Amengual, Vsevolod Pudovkine, ed. Premier Plan, 1968

NOTE BIOGRAFICHE
Vsevolod Illarionovic Pudovkin nasce a Penza, nella regione centrale del Volga, nel febbraio 1983, da una famiglia contadina. Il padre, commesso viaggiatore, si trasferisce a Mosca e, qui, il giovane Pudovkin può dedicarsi agli studi di chimica e fisica che gli sembrano particolarmente congeniali: lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, però, gli impedisce di laurearsi.
Si arruola in artiglieria, viene ferito e fatto prigioniero dai tedeschi, nel 1915: internato in un campo in Pomerania, impara inglese, francese e tedesco. Evade rocambolescamente, nel 1918: otto mesi dopo, raggiunge Mosca.
Rispolvera le nozioni di chimica e inizia a lavorare in una fabbrica di armi: contemporaneamente, coltiva la passione per la pittura, la musica e il teatro.
1920: la visione di Intolerance di David W. Griffith è una folgorazione. Viene “ammesso senza esami” [1] alla Scuola di Cinema di Mosca.
Entra a far parte del collettivo Il laboratorio sperimentale e, successivamente, nella Mexrabpom-Rus, la casa di produzione cinematografica vicina alla causa rivoluzionaria mondiale fondata dall’italiano Francesco Misiano su direttive del Soccorso Operaio Internazionale.
Nel maggio del 1925, inizia a girare il suo primo film, La meccanica del cervello, e, nell’anno successivo, diventa docente presso l’Istituto Statale di Cinema.
Insieme ad Ejzenštejn e a Grigorij Alexsandrov firma il Manifesto dell’Asincronismo: “La particolarità della posizione sostenuta nel manifesto consiste nell’introduzione dei concetti di contrappunto e di montaggio sonoro. Soltanto comprendendo che il principio del cinema risiede nel montaggio è possibile sviluppare una forma cinematografica nuova in cui il suono venga utilizzato come elemento di un montaggio audiovisivo e non sia semplicemente legato alla successione delle immagini. Perché ciò si realizzi, continua il Manifesto, il suono dovrà essere utilizzato in senso contrappuntistico, vale a dire non in sincrono con le immagini, in quanto il sincronismo produce una pericolosa illusione di verità, riducendo così il cinema a un cinema-attrazione, a una semplice riproduzione naturalistica del reale” [2].
A partire dal 1929, gira per l’Europa: è a Berlino, in Gran Bretagna, in Olanda. Nel ’32, aderisce al Partito Comunista e, poco tempo dopo, viene insignito de L’ordine di Lenin, per aver contribuito allo sviluppo della cinematografia sovietica.
Un incidente, in cui resta ucciso un suo scenografo, lo tiene lontano dai set fino al 1938: in questo periodo, si dedica all’insegnamento e ad alcune opere teoriche.
Intorno al 1951 è in Italia: viste dal vivo le opere del Rinascimento, trova forti analogie tra il suo senso estetico e quello della produzione michelangiolesca ed inizia una speculazione a riguardo.
Nel giugno 1953, muore improvvisamente d’infarto, a Riga, nell’attuale Lettonia.

[1] AA.VV., Il cinema di Vsevolod Pudovkin, Comune di Padova, Assessorato alla Cultura, 1977
[2] Daniele Dottorini, in Enciclopedia del Cinema, ed. Treccani, 2004

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A cura di Stefania