Lady Vendetta / 18 Gennaio 2014 in La fiammiferaia

L’assenza pressoché totale di dialoghi incrementa in maniera esponenziale il valore delle poche parole che vengono pronunciate durante l’intero film.
I concetti espressi sono essenziali, hanno un valore di tipo primario, atavico: cibo, rifiuto, morte, condanna.

I sentimenti e le emozioni (amore, vergogna, speranza, ribrezzo) vengono affidati alla parola scritta: la loro aleatorietà, impressa sulla carta, acquista un peso imponderabile. Solitamente, è Iris a prendere la timida iniziativa ed a proporre un dialogo per iscritto: la risposta ai suoi tentativi di connessione è sempre violenta ed è rappresentata di volta in volta da uno schiaffo, da un silenzio tenace, da un’umiliazione.

Volti e corpi sono praticamente inespressivi, puri veicoli narrativi, quasi privi di materialità, confinati entro gesti precisi, essenziali, secchi: l’incidente di Iris, non a caso, invisibile allo spettatore e privo, apparentemente, di qualsiasi danno fisico, rafforza l’idea che siano i soli sentimenti a rappresentare il corpo del racconto. Non esiste praticamente alcuna differenza tra Iris e le macchine con cui lavora, in fabbrica: in entrambi i casi, si tratta di entità considerate ai soli fini produttivi. Al contrario, stupisce la grazia delle mani della ragazza, su cui la camera, fissa, si concentra insistentemente durante una sequenza iniziale: le dita di Iris, infatti, sembrano danzare sulle scatole di fiammiferi.

Invidiabile, come al solito, la scelta dei cromatismi, seppur meno squillanti che in altre occasioni, delle scenografie, kitsch e, a modo loro divertenti, e delle musiche.

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