Taxi Teheran

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Taxi Teheran

Dopo aver posizionato una piccola telecamera sul cruscotto di un taxi, il regista iraniano Jafar Panahi si muove per le strade di Teheran, raccontando la sua città.
Stefania ha scritto questa trama

Titolo Originale: تاکسی
Attori principali: Jafar Panahi, Hana Saeidi, Nasrin Sotoudeh,
Regia: Jafar Panahi
Sceneggiatura/Autore: Jafar Panahi
Colonna sonora: Jafar Panahi
Fotografia: Jafar Panahi
Produttore: Jafar Panahi
Produzione: Iran
Genere: Drammatico, Commedia
Durata: 82 minuti

Dove vedere in streaming Taxi Teheran

Panahi e lo scacco matto / 8 Marzo 2022 in Taxi Teheran

Con questo film, mi avvicino alla filmografia di Jafar Panahi, regista iraniano accusato di propaganda sovversiva dal governo del suo Paese e a cui, nel 2010, è stato vietato per 20 anni di dirigere film, scrivere sceneggiature, rilasciare interviste e lasciare l’Iran.

Infilandosi nelle pieghe della legge civile e religiosa, Panahi continua comunque a fare il proprio lavoro e, con esso, a mostrare scandalosamente le incongruenze, l’acronia e la violenza dell’Iran contemporaneo.

L’apparentemente innocuo film Taxi Teheran, Orso d’Oro a Berlino 2015, sfrutta tutti i divieti imposti a Panahi, per mettere in scena un racconto che è un canto alla creatività liberatoria del cinema. Il film di Panahi finge di essere non tanto un filmato amatoriale girato quasi in tempo reale (con finte velleità da unico piano sequenza), quanto un mockumentary (e già questa è sia un’iperbole sopraffina che una soluzione degna della migliore commedia all’italiana). Invece, è una specie di saggio critico sul suo Paese sapientemente sceneggiato.
Scacco matto.

(Sette stelline e mezza)

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A Teheran trafficassai / 13 Settembre 2015 in Taxi Teheran

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Ah, il cinema iraniano (e la tauromachia)! La litania e l’incedere del farsi doppiato, che trovo splendida, e insomma, sono gli unici film che mi fa piacere siano doppiati. Quei bei tempi quando si poteva passare un pomeriggio a vedere ore di mediometraggi di Kiarostami con camera fissa sulle transenne a chiudere una strada principale di Teheran nei giorni della rivoluzione del ‘79 (vidi davvero una roba così). Kiarostami te lo richiamo poi. Traffico, c’è Panahi con la coppola alla guida di un taxi. Infatti non sa mai dove sono le strade. Al suo fianco saliscendono personaggi vari, a dipingere del paese parziale un ritratto. Il migliore, il nano spacciatore cinefilo con le dita ipertozze, che smercia Kim Ki Duk ma anche BBT a richiesta. E la bambina, sua nipote, di Jafar, non del nano, che parla come il vento e fa girare la testa, chiedendosi se tutto è proibito come si fa a scrivere e girare una storia che sia poi proiettabile. Chiusura col campo non lunghissimo ma lungo, ricordi il finale di Sotto gli uliivi, sempre di Kia? Mi mangio un cane se non pensava a quello – è statisticamente provato dall’università di stocazford che chi dice mi mangio un cane perda poi le scommesse. E comunque anche Dieci, era quasi tutto sui taxi. Tra i registi iraniani famosi e da festival, Panahi è l’unico riuscito a farsi vietare in patria di fare il suo mestiere, non può girare, scrivere né lasciare interviste. Per cui fa tutto di nascosto, camere a mano o appoggiate lì, attori amici suoi e senza credits, non è il caso di puntare il dito. Ne viene fuori un cinema inevitabilmente nuovo per i limiti materiali in cui nasce, che lo obbliga a cercare soluzioni creative a problemi che altrove non ci sono. Lui ascolta e accompagna le vicende dei passeggeri, col sorriso. Si passano in rassegna pena di morte, diritti umani negati, povertà estrema, con uno sguardo che mostra senza di giudicar pretendere. E, anche visto quanto è inviso al regime, coglie nel segno.

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Una rosa per il cinema / 5 Settembre 2015 in Taxi Teheran

Entri nel taxi di Panahi che pensi di stare in una specie di docu-film. Le due camere fisse (cruscotto e laterale) ti danno questa falsa impressione iniziale; poi personaggio dopo personaggio ti rendi conto che non abbiamo a che fare con quel “sordido realismo” temuto dalla censura iraniana, no, affatto. E’ finzione pura fatta di sceneggiature leggere, quasi trasparenti. La violenza è sospesa nelle parole, camuffata nello splendido dialogo tra zio e nipotina, tra il regista e la donna avvocato radiata dall’albo che lascia con gesto elegante “una rosa per il cinema” sul cruscotto. La libertà non la si persegue solo alzando la voce e mostrando l’orrore, anche la poesia di un film può avere la sua potente e segreta forza erosiva.

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