La scelta di Sophie: apprezzabile ad intermittenza / 19 Aprile 2015 in La scelta di Sophie

Il film di Pakula è composto da segmenti narrativi dall’alterna riuscita ed intensità che ne compromettono il risultato complessivo: benché efficace nella messinscena dei contrasti, la pellicola difetta di lungaggini probabilmente evitabili.

Per l’appunto, ho trovato particolarmente riuscite le molteplici contrapposizioni della vicenda: Sophie ne è, evidentemente, il perno.
In lei e in rapporto a lei, convivono bellezza e squallore, purezza e menzogna, dolore e vita, amore e morte, ed è inevitabile, anche per lo spettatore, non provare attrazione per questo personaggio fragile ed enigmatico.
Complice una strepitosa Meryl Streep, la figura di Sophie è difficile da dimenticare: le sequenze in cui il suo viso domina la scena, diafano o crudelmente emaciato, a seconda delle situazioni, sono indubbiamente le migliori.
Il conflitto supremo si esplica nell’estrema dolcezza e nell’esasperato desiderio di amare di Sophie, traducibile in una sorta di espiazione ai propri peccati: l’oggettività dei fatti e la morale cattolica (checché Sophie ne dica, poiché è stata educata nel cattolicesimo, non può prescindere totalmente da esso, anche se ella “rimprovera” ciò che le ha insegnato la dottrina) gravano sulla protagonista, annientandola.

Al contrario, i parossismi di Kline, pur bravo, e l’inconsistenza di Peter McNicol (Stingo), puntualmente stupito, soggiogato, perfino congestionato, benché mi rendo conto si tratti di caratteristiche congeniali al suo alter ego, mi hanno fatto volgere più volte lo sguardo all’orologio.
La storia del mentore folle e del giovane da “educare” alle gioie ed ai dolori della vita (à la Gatsby, per intenderci), evidentemente, mi ha stufata.

Nota: musiche inutilmente pompose nelle scene ambientate negli Stati Uniti, con infiniti e compiaciuti virtuosismi di romantici archi.

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