Sedotta e abbandonata

Capolavoro senza tempo che definire commedia pare quasi una mancanza di rispetto per uno dei film più straordinari della storia italiana. La sceneggiatura fonde cinema di impegno civile, dramma e commedia per raccontare una società labirintica, incomprensibile, inchiodata a dogmi morali che l’avvicinano più al contesto di un regno medioevale che non all’Italia del boom economico. Una comunità in cui un padre preferisce che il figlio uccida un uomo e sconti 5 anni di carcere piuttosto che rendere pubblica la notizia che sua figlia non è arrivata vergine al matrimonio; in cui è socialmente accettato un rapimento ma è del tutto inconcepibile che la stessa ragazza rapita torni in paese da sola a piedi, mostrandosi così “disonorata”. Attori incredibili, ritmo irrefrenabile, montaggio alternato, flashback, realtà alternative e sequenze oniriche. Ho visto pochi film più belli di questo in vita mia.

Capolavoro della tragicommedia “onore e famiglia” ambientata nel profondo meridione. In questo capitolo centrale della cosiddetta “trilogia barocca” di Germi emergono il talento immenso di alcuni attori italiani dell’età aurea del nostro cinema; su tutti spiccano il magnifico caratterista Saro Urzì con la sua incontenibile furia sicula e Leopoldo Trieste, qui nei panni di un irresistibile barone decaduto e sdentato. Ottima la prova della Sandrelli, simpatici i personaggi del fratello tonto di Lando Buzzanca e della sorella cornuta interpretata da Paola Biggio, attrice inghiottita dall’oblio di cui in rete non si trova praticamente nulla.
C’è sotto una sceneggiatura gustosa come un cannolo, compatta come il ferro, praticamente perfetta; ma questo lo si poteva intuire fin dai titoli di testa, leggendo i nomi che l’hanno firmata: Age, Scarpelli e Vincenzoni.