Pulce non c’è: esordio delicato ma imperfetto / 3 Aprile 2015 in Pulce non c'è

(Sei stelline e mezza)

Senza nulla voler togliere all’importanza “sociale” del film che tratta senza falsi pietismi un argomento delicatissimo e poco conosciuto, benché sia sulla bocca di molti, come quello dell’autismo, devo dire che questa pellicola non mi è parsa obiettiva nel rappresentare l’aspetto “tecnico” della faccenda. Sottolineo il fatto che la mia è un’impressione, poiché non sono mai stata coinvolta in vicende riguardanti i servizi sociali ed assistenziali.
Stando a detta impressione, pur avendo apprezzato il ritratto (immagino) sincero e, perciò, contraddittorio di una famiglia che affronta le difficoltà legate alla presenza nel proprio nucleo di un figlio autistico e alle ripercussioni che il dramma oggetto del film porta nelle vite di ogni suo componente, non mi è piaciuta affatto la rappresentazione degli assistenti sociali offerta dalla pellicola.

Non ho affatto idea delle dinamiche tecniche (e perfino emotive) che una situazione come quella descritta è in grado di mettere in moto nei “tecnici” che vengono coinvolti nelle procedure descritte: certo è che le assistenti sociali in scena sono, matematicamente, in maniera tragicamente scontata, rigide ed apparentemente insensibili nei confronti dei famigliari, che -forse ritenuti colpevoli di connivenza- vengono trattati freddamente, senza alcun tipo di cortesia o indulgenza.
La burocrazia a cui gli enti assistenziali devono soggiacere è cosa se non nota, perlomeno facilmente intuibile: eppure, in questo film, l’atteggiamento degli assistenti sociali sembra dettato da esigenze di sceneggiatura ed appare gratuito, giusto perché occorreva identificare in qualcuno, materializzare, diciamo, l’ingiustizia.
Mentre il racconto è, altrove, gestito con sensibile originalità, ho trovato ingenuo, scontato e poco equilibrato questo frangente della rappresentazione.
Non nego possano esistere assistenti sociali “incompetenti”, ma qui è l’intero apparato tecnico-burocratico ad essere messo in discussione in maniera, forse, troppo gratuita.
Ho tentato (invano) di giustificare tale scelta pensando sia stata operata in modo da evidenziare le difficoltà che tecnici e famigliari incontrano quando si trovano alle prese con un caso di autismo e di come sia semplice incappare in un errore di valutazione e di quanto sia ancora più facile trarre errate conclusioni a discendere da esso.
Però, la netta demarcazione buoni/cattivi (sto volutamente semplificando, non intendo con ciò sminuire dolori e fatiche da una parte e dall’altra) mi è parsa troppo evidente ed eccessivamente didascalica.

Detto questo, il lungometraggio d’esordio di Giuseppe Bonito è interessante e ben interpretato, in particolare dalle due giovani protagoniste, Francesca Di Benedetto e Ludovica Falda.
Delicatamente adeguato (benché incline al martiriologio e, ribadisco, parlo da persona estranea ai fatti, lungi da me voler essere gratuitamente indelicata) il ritratto della sorella maggiore, sovente “dimenticata” dalla famiglia, quasi costretta ad indossare tute da ginnastica, perché i suoi abiti passeranno a Pulce che non sa usare le cerniere: l’identità di Margherita quasi soccombe davanti alla malattia della sorella e, benché la ragazzina non se ne lamenti apertamente, crescendo avverte uno scollamento tra sé e il resto del mondo. Margherita cresce in fretta, ma, per un attimo, resta ai margini di sé stessa.

Azzeccata la scelta di Pippo DelBono per il ruolo, invero ambiguo, del padre accigliato e nervoso.
Brava anche la Massironi, benché, talora, enfatizzi alcuni aspetti del suo personaggio in maniera un po’ troppo “telefonata” per i miei gusti (es. incontro/scontro assistenti sociali).

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