Mommy

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Mommy

Diane è una vedova quasi cinquantenne: nonostante l'età, ha qualche difficoltà a a gestire la propria vita e ad arginare l'irruenza, che talvolta sfocia nella violenza, del figlio quindicenne Steve, afflitto da un deficit di attenzione e da un'iperattività spesso incontrollabile.
Stefania ha scritto questa trama

Titolo Originale: Mommy
Attori principali: Anne Dorval, Antoine Olivier Pilon, Suzanne Clément, Alexandre Goyette, Michèle Lituac, Viviane Pacal, Natalie Hamel-Roy, Isabelle Nélisse, Patrick Huard, Ted Pluviose, Pierre-Yves Cardinal, Reda Guerinik, Justin Laramée, Sabrina Bisson, Huguette Gervais, Vincent Fafard, Jean-Philippe Baril-Guérard, Dominic Desnoyers, Guenièvre Sandré, Isabeau Blanche, Catherine Brunet, Johanne Garneau, Michael Rudder, Robin-Joël Cool, Guillaume Laurin, Mathieu Dufresne, Stéphane Julien, Julie De Lafrenière, Sylvie Lemay, Danielle Lepine, Jeanne Roux-Coté, Rosalie Fortier, Steven Chevrin, Pierre-François Bouffard, Courtnee Rasmussen, Mostra tutti

Regia: Xavier Dolan
Sceneggiatura/Autore: Xavier Dolan
Colonna sonora: Noia
Fotografia: André Turpin
Costumi: François Barbeau, Xavier Dolan
Produttore: Xavier Dolan, Nancy Grant
Produzione: Canada
Genere: Drammatico
Durata: 138 minuti

Dove vedere in streaming Mommy

Brividi / 30 Aprile 2020 in Mommy

Quando un film ti fa stare con la pelle d’oca dall’inizio alla fine, vuol pur dire qualcosa. Le sequenze musicali tra le più potenti del cinema moderno, basterebbero quasi da sé per far stare in piedi il tutto.

Le nouveau “Les quatre cents coups” / 23 Febbraio 2016 in Mommy

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Dolan (D al posto di N) / 25 Maggio 2015 in Mommy

Non ci troviamo di fronte ad un’opera genuina, anzi la platea è ben considerata seppur senza ingannevoli moralismi, ma ciò che colpisce maggiormente è come Dolan dimostra già ai nastri di partenza, oltre idee ben chiare, anche uno stile maturo e ben definito.

15 Gennaio 2015 in Mommy

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Canada post-contemporaneo, le strade hanno tante corsie. Siamo gente che ha spazio. Diane è una madre vestita un po’ da battona, il cui figlio viene rimbalzato dall’ennesimo istituto di correzione o whatever, per cui se lo riprende a casa. Lui, Steve, è un incrocio tra il tipo dei Dardenne e Macaulay Culkin, lei campa a stento e nemmen si capisce tanto come, lui è matto se voglio, deficit d’attenzione, iperattivismo, una bomba a orologeria e col timer sbronzo (quella storia di Truffaut e Hitchcock e la bomba sotto il tavolo? Ecco). Potrebbe tranquillamente fare il film da solo, e di francesi con le facce da scavezzacollo prendaschiaffi il cinema francofono trabocca. Lei è tra l’hippie e lo stuppiedo, con una prova d’attrice mostruosa per il repertorio di 20000 espressioni facciali e sentimenti esposti nell’arco di tutto il film. Ai due si aggiunge la vicina scema, che è una tizia piccola e muta muta e quando non è muta è b-b-b-b-balbuziente. O in alternativa si tiene la testa tra le mani. Con questi elementi, l’amore e l’odio del rapporto filiale trascolorano e ribaltano in continuazione, tra esplosioni di violenza e ascessi di amore al limite del fisico, tracolli di affettto e lacrime. I tre se la intendono, il triangolo è forte e altri personaggi non servono che a delineare uno sfondo di bassa borghesia metropolitana, se la stendono, esplodono. C’è un po’ di Italia, Stewie ascolta Blue e canta Bocelli, più un Einaudi abbastanza a tradimento. Non c’è sostanza nell’originalità, perché le storie di madri-con-figli-problematici hanno ormai alle spalle un corpus di centinaia di film (ma di che ca**o stiamo parlando?), ma di forma; l’inquadratura rimane a 1:1 per quasi tutto il film, e all’inizio quasi volevo andare a protestare urlando babbo al macchinista – sono una persona timida e ovviamente, e meno male, non l’ho fatto. Invece no, perché è funzionale all’allargarsi del quadro con un improvviso gesto metafilmico, per il cinema d’oggi assai fuori dai canoni, nei rari momenti sereni, e l’effetto è quello fisico della boccata d’aria. Fatto dagli occhi mica è semplice. E poi BANG, la trappola si richiude nella loro normalità in precipizio. Anche, altra scena fuori le righe, lui che impazzisce al karaoke (per forza, se ascolti quella roba), la camera si/ci immedesima, siamo i suoi occhi e il suo respiro e la rabbia che ribolle. E poi BANG!

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Mommy: la visceralità di Dolan. / 9 Dicembre 2014 in Mommy

Mommy è un film che parla allo stomaco e che insiste molto sul concetto di viscerale. Tale è la reazione che muove nello spettatore e tale è il rapporto che lega i protagonisti, madre e figlio, Diane e Steve.

Benché afflitto da un minutaggio forse eccessivo e da una strana incongruità (non esistono rimedi, seppur parziali, di tipo psicologico, intendo, che contribuiscano a mitigare il giovane?), il film di Dolan si muove con perizia nell’alveo del dramma famigliare, scandagliando con campi strettissimi la gestualità degli interpreti e la mimica dei loro visi, costringendo la platea a stringersi addosso agli attori, quasi a respirarne il fiato.
Il formato del film, un inusuale 1:1, somiglia a quello degli smartphone e racchiude le scene in un confine asfittico, limitato come le speranze dei personaggi in scena, un cubicolo che sembra essere senza via d’uscita e che, quando ne mostra fugacemente una, propone la peggiore, sempre.

Se è vero quanto ha dichiarato in alcune interviste il giovane Dolan (classe 1989. 1989!!! E, con questo film, ha già vinto il Premio della Giuria a Cannes parimerito con nientemeno che Godard), e cioè che il suo più grande riferimento cinematografico è Mamma ho perso l’aereo di Chris Columbus, non fatico a leggere Mommy come la drammatica esasperazione di una sottotrama di quel film americano.
Oltre ad essere apertamente citata in una sequenza, la pellicola di Columbus sembra essere stata eviscerata e portata sanguinante allo scoperto.
Mentre là la vitalità del protagonista interpretato da Macaulay Culkin permetteva di indulgere nel divertimento sfrenato e nel sorriso, qui lo Steve di Dolan è la faccia sporca della luna di quel ragazzino, ormai cresciuto, ugualmente bello, biondo e sveglio, ma incontrollabile e pericoloso, ben lontano dall’amabilità scavezzacollo di Kevin.
Steve, è imprevedibile, ma non nel modo giocoso tipico dei monelli: la pubertà gli ha regalato un corpo forte, un corpo da uomo che sta cominciando a pulsare di istinti primordiali per lui indecifrabili e di cui non sa ancora fare l’uso corretto, in cui convergono il sesso e la potenza fisica.
Il labile confine tra affetto filiale e deriva incestuosa nei confronti di Diane lo rende fragile e parimenti pericoloso.

Mi ha colpito, non so ancora se positivamente o meno, il fatto che Dolan suggerisca con diversi indizi la vicenda personale ma segreta di Kyla, la vicina di casa dei protagonisti. La sua balbuzie è legata ad un trauma che sembra averla allontanata dalla propria famiglia. Grazie a detti indizi il dramma è abbastanza intuibile, ma come mai Dolan, scientemente, lo occulta alla platea? Non si tratta, è evidente, di una dimenticanza: è una specifica volontà, ma non ne ho compreso le motivazioni.

Antoine-Olivier Pilon è bravissimo, dolente e fastidioso, perfetto nel ruolo della scheggia impazzita. Anne Dorval è decisamente credibile in un ruolo complicato che, in un eventuale (e non necessario, sia beninteso) remake a stelle e strisce vedrei bene addosso a Marisa Tomei.
Curiosa la colonna sonora: non credo mi sia mai capitato di imbattermi in un film in cui la maggioranza dei brani viene eseguita per intero. Sorpresa: Born to Die di Lana Del Rey si trova a suo agio nelle drammatiche sequenze finali come un pisello nel suo baccello (cit.).

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