2 Settembre 2014 in Lo squadrone bianco

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

“Lo squadrone bianco” un film di propaganda realizzato durante il fascismo. Lo sto analizzando per la tesi sul cinema coloniale e volevo condividere con voi l’esperienza. La particolarità del film è l’usare i corpi militari del posto. Le truppe Mehariste, appunto, sui dromedari nel mezzo del deserto… oltre all’essere girato nella Libia occupata.

La recensione contiene un piccolo spoiler, quindi quando leggerete “Lo smacco finale” andate dritti alla fine.
Andiamo con ordine.

“Lo Squadrone Bianco” designa l’epica del colonialismo italiano. Opera virile, maschia, forte, munita di un “superomismo” a tratti delirante. Il film affronta il tema della terra, non quella da bonificare bensì una terra “di altri”, quella landa da esplorare, colonizzare, conquistare, invadere, da offrire alla fame di terra italiana.

Ecco, già con questo, uno si fa due domande. Non è che sia proprio corretto andare a fracassare il ca**o nei paesi altrui ma, ok, non essendo un film realizzato dall’Unione Pacifisti della Svervegia non posso pretendere di incontrare pane e pucciosità.

La terra così assume un significato emblematico, terra da conquistare prima, terra metaforica poi.
Il deserto Africano viene riempito da deserti ideologici (il colonialismo fascista) e da quelli culturali (il mito di Hollywood). Realizzato nel 1936 e diretto da Augusto Genina, “Lo squadrone bianco” presenta molti elementi dei film realizzati ad Hollywood a cominciare dalla forte spettacolarità e dalle immagini suggestive mostrate dal regista. Squadrone bianco è la storia di un ufficiale e di una nazione, è la storia del borghese Ludovici (Antonio Centa) che dopo una delusione d’amore, divenuto tenente, chiede di essere trasferito in Africa. Non c’è patriottismo, vuole dimenticare una “femme fatale” che lo ha stregato, tradito, deluso. Arrivato in Libia, assegnato ad un reparto di “meharisti”, il giovane sottufficiale incontra il Capitano Santelia (Fosco Giachetti), severo ma giusto, che diffida delle debolezze cittadine del tenentino. Vorrebbe soldati per vocazione e non per disperazione, forti e coraggiosi. Il giovane sente sulla pelle il disprezzo del suo superiore, soffre per la durezza con cui viene trattato, è viziato dalla città ma con il tempo matura. Il giovinastro diventa così uomo e capitano. La metamorfosi avverrà nel deserto, luogo che temprerà il nostro attraverso le battaglie.

Il deserto è luogo di miraggi, di incubi, e lo squadrone in un combattimento è impegnato proprio in questo spazio. A bordo di cammelli e dromedari, lo squadrone è impegnato in un inseguimento, se la vedrà contro un gruppo di ribelli. La marcia coatta si trasforma presto in una specie di incubo, soprattutto per chi come il tenente non è abituato alla fatica ed al clima.
I preda a una febbre, simbolica e fisica, Ludovici matura. Matura tanto da sostituire il Capitano, Santelia cade in battaglia, ereditando la sua maschera forte e la sua energia derivante dall’autorità che incarnava. Il film è si di propaganda ma una propaganda che incontra sano intrattenimento.

E’ un film fascista che fortunatamente va oltre il fascismo. Infatti al di là del film retorico (se così possiamo identificarlo e se è vero che l’opera di Genina si inserisce nella sporadica produzione di film coloniali fascisti) troviamo più melodramma che propaganda. Accanto ad una prima parte, una storia d’amore frivola che rovina il nostro, abbiamo una seconda parte “d’azione” con suggestive immagini del deserto africano. Lo smacco finale poi rimane. Una volta tornato alla base, Ludovici è divenuto altro, lo attende il confronto con la realtà e con il mondo borghese che si è lasciato alle spalle; al fortino militare, dove è di stanza, sono arrivati dei turisti ed insieme ad essi fa la comparsa Cristina (Fulvia Lanzi), la donna per cui è fuggito in Africa. Ora Cristina lo rivuole ma il tenente ha scelto l’arida terra contro i salotti della città, il deserto virile contro il facile benessere, la ruralità versus l’urbanità, l’eroismo e la solitudine come valori contrapposti all’ozio e al vizio.

E’ uno dei film più belli che ho visto, fra quelli realizzati sotto il fascismo, e ve lo consiglio caldamente.

DonMax

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