(Riflessioni sparse)
Un film liquido, come i sogni del protagonista.
Lungo, dilatato, a suo modo angosciante, benché parli d’amore.
Credo che questa sua strana (non) forma derivi dal fatto che, all’atto della sua realizzazione, Miyazaki fosse convinto che si sarebbe trattato del suo ultimo lavoro. Ma, a differenza di quanto accaduto con Mononoke (altro titolo a cui legò un paventato addio dalle scene), dove la solidità narrativa e formale restavano evidenti, Kaze tachinu non sembra assolvere nessun obbligo specifico nei confronti del pubblico: piuttosto, sembra la pura soddisfazione dei desideri più profondi del regista e la rappresentazione di sentimenti che, probabilmente, egli ha vissuto personalmente.
Tra l’altro, non credo sia un caso che Jirô gli somigli particolarmente, dal punto di vista fisico.
La passione di Miyazaki per il volo e la tecnologia aeronautica è risaputa, quindi ha acchiappato al volo (oh oh oh) la possibilità di dedicare un altro film “onirico” (dopo Porco Rosso) a questo suo grande amore, dilatandolo fino allo spasimo, in qualità di intimo epitaffio artistico.
Si alza il vento è la solita ma ugualmente inaspettata gioia per gli occhi, ricchissima di strabilianti dettagli certosini, ma, per quel che mi riguarda, asseconda poco la mia voglia di magia e avventura, proprio per via della sua natura intimistica: guardare questo film significa sbirciare nel cuore di Miyazaki e, posto che non tutto, quindi, risulti lineare ma umorale, a non apprezzarlo pare di compiere un piccolo vilipendio.
Tra le cose più compiute, annovero la lunga sequenza del terremoto e dell’incendio di Tokyo: dopo lo tsunami di Ponyo, Miyazaki-san ha messo in scena con sconcertante bellezza un altro fenomeno naturale distruttivo tipico del Giappone. Come in quel caso, in cui era la piccola creatura marina a generare sconquasso in maniera inconsapevole, quasi per gioco, qui è la Terra a muoversi come se si trattasse di un gigante addormentato che si rivolta incosciente nel letto: in modo inquietante, i gemiti che accompagnano le scosse non sono effetti sonori “artificiali”, ma suoni vocali generati da una persona.
La stessa accortezza è stata adottata in altre parti del film: taluni rumori degli aerei, specie in fase di partenza, sono sbuffi e borbottii prodotti da persone, usati forse per sottolineare l’affezione per l’oggetto stesso, concepito come vivo e palpitante a dispetto della sua natura meccanica, nato dall’amore/dalla dedizione dei suoi indefessi progettisti.
Per la prima volta dopo Howl, Miyazaki concede ai suoi protagonisti adulti effusioni delicate, un elemento non troppo comune alla cultura nipponica che, pur non escludendo il romanticismo (anzi…), stenta per motivi “culturali” a mettere in scena effusioni che risultino naturalmente affettuose (generalmente, i poli entro cui si muove la rappresentazione amorosa giapponese va dal bacio/abbraccio urgente, appassionato e improvviso a un pressoché totale distacco fisico moderato da piccole carezze): Jirô e Naoko si baciano più volte, a beneficio del pubblico, ma quel che mi ha colpito di più, a sottolineare la “maturità” del film,è che, nel film, viene suggerita una celebrazione dei sensi altrimenti sconosciuta alla cinematografia di Miyazaki (la prima notte di nozze, benché provata, Naoko invita Jirô nel suo letto: la sequenza in cui scosta la trapunta del futon, mostrandosi al neo-marito vestita solo del pur ampio e morbido yukata, è il preludio a una notte d’amore da cui il sesso non è bandito).
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