La donna che canta

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La donna che canta

Alla morte della madre, due gemelli vengono convocati da un notaio. Dopo la lettura del testamento, l'uomo consegna ai due figli altrettante lettere da recapitare personalmente al loro padre che non hanno mai conosciuto e a un fratello di cui ignoravano l'esistenza. Questa missione, mal accettata, li costringe a rivalutare la sofferenza e le stranezze della madre. La tragica guerra in Libano è fonte di risposte a cui non avrebbero mai fatto domande.
straight ha scritto questa trama

Titolo Originale: Incendies
Attori principali: Lubna Azabal, Mélissa Désormeaux-Poulin, Maxim Gaudette, Rémy Girard, Allen Altman, Abdelghafour Elaaziz, Dominique Briand, Frédéric Paquet, Ahmad Massad, John Dunn-Hill, Jackie Sawiris, Lara Atalla, Baya Belal, Yousef Shweihat, Karim Babin, Mohamed Majd, Mustafa Kamel, Hussein Sami, Hamed Najem, Bader Alami, Majida Hussein, Asriah Nijres, Nadia Essadiqi, Baraka Rahmani, Mostra tutti

Regia: Denis Villeneuve
Sceneggiatura/Autore: Denis Villeneuve, Valérie Beaugrand-Champagne
Colonna sonora: Grégoire Hetzel
Fotografia: André Turpin
Costumi: Sophie Lefebvre, Karma Hijjawi
Produttore: Kim McCraw, Luc Déry
Produzione: Canada, Francia
Genere: Drammatico
Durata: 131 minuti

Dove vedere in streaming La donna che canta

Assolutamente da vedere / 27 Marzo 2018 in La donna che canta

Ottimo soggetto, trama avvincente, ottima interpretazione.

Libano in fiamme / 13 Settembre 2016 in La donna che canta

In fremente attesa per Arrival, ho ripescato questo gioiellino della produzione pre hollywoodiana di questo elegante cineasta canadese che mi conquistò con l’elettrizzante Prisoners e mi raffreddò un po’ l’entusiasmo con il più lezioso Sicario (anche se poi l’interpretazione di Emily Blunt mi è rimasta abbastanza impressa nel lungo termine).
Oltre a un incipit potente sulle note dei Radiohead, si riconosce qui il gusto per l’immagine ariosa, di luce vivida (che troverà in seguito con la fotografia di Roger Deakins la quadra perfetta), l’attenzione artistica alla serietà espressiva nei volti; tanto Lubna Azabal (la madre) quanto Mélissa Désormeaux-Poulin (la figlia) incantano con la profondità dello sguardo, un dolce profilo mediorientale attraverso il quale partecipiamo a una storia durissima, di profonda tragedia. Il soggetto del drammaturgo libanese Mouawad stringe in finale su una connessione di eventi forse esageratamente scabrosa, ma alla radice resta una forte aderenza al reale e violento contesto storico.

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Meraviglioso / 5 Agosto 2015 in La donna che canta

Due gemelli, un testamento della madre appena defunta, una scoperta inquietante, una verità incredibile.
La Donna Che Canta è un vero capolavoro.
Emozioni, tragicità degli eventi, tenerezza, rabbia.
Un vero mix di sensazioni.
Gli sguardi dei protagonisti sono la lama che ti colpisce e ti entra dentro lasciandoti una pesante quanto agghiacciante verità.
La triste guerra palestinese e una madre che non si da per vinta.
Perdersi questo film è un vero delitto.
Ad maiora!

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L’insensatezza del fratricidio. / 27 Novembre 2014 in La donna che canta

Metafora (tale anche grazie alla scelta di non localizzare davvero gli eventi dal punto di vista geografico) dell’insensatezza del fratricidio, esteso all’intero genere umano -ovviamente- e non a singoli individui o a precise etnie, il film di Villeneuve usa il meccanismo (semplifico volutamente) della caccia al tesoro per raccontare una vicenda personale che, con le sue specifiche estreme, si fa narrazione universale.
Il buon impianto del racconto si fa forte dell’estrema grazia e della delicatezza delle immagini che non indugiano quasi mai sull’esposizione esplicita della violenza (es. gli abusi in carcere, la terribile sequenza della carneficina sul pullman).

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22 Dicembre 2012 in La donna che canta

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Spettacolo serale di venerdì, ore 19.25. Entro in sala dopo la mia bella giornata di sala studio. Sono palesemente la persona più giovane in sala.
Euh…. boh, vabbè, amen.
Uno legge “film canadese” e si figura una di quelle robe con la neve e le foglie e lo sciroppo d’acero. Perché il mio criterio è che quando decido di vedere un film al cinema poi, finché non lo vedo, non mi interessa sapere altro. Ecco, invece no.
Mi trovo di fronte a quest’epopea calda e polverosa quasi tutta ambientata sotto il sole e i proiettili del Libano, lungo molteplici traiettorie temporali che seguono in parallelo due o tre flash-back diversi; creando a volte un po’ di confusione e raccordando falsamente le scene di modo che a un certo punto ci si trova sfasati temporalmente rispetto alla scena prima, anche se il raccordo era cinematograficamente corretto.
Il film è bello inaspettatamente e un po’ pesante, la storia la racconto perché mi va e tanto non lo vedrete. Muore una donna, lasciando ai suoi due gemelli, lui e lei, una lettera a testa con dei compiti. Cioè consegnare due lettere, una al padre disperso, la seconda al fratello disperso. Lei è la prima a iniziare il viaggio alla ricerca delle sue origini, nugoli di flash-back la seguono e raccontano la storia della madre, anche nota come la donna che canta. La storia della madre è fiera e terribile, come terribili dovevano essere quasi tutte quelle del periodo delle rappresaglie e stragi tra musulmani e cristiani in Libano.. boh, non so, sempre, no, tra ’70 e ’80, credo. C’è di buono che lì si ammazzano sempre, non c’è timore di sbagliare di troppo.
La scena che vince sono i miliziani cristiani che crivellano a suon di mitra un autobus zeppo di musulmani, e lo fanno sul kalashnikov LA FIGURINA DELLA MADONNA; porche e maiale e troie tutte le religioni du munnu, e con le crociazze, dorate e tamarrissime, al collo. All’autobus in seguito danno pure fuoco con la benza, metti il caso che ne sia rimasto qualcuno che respira.
Per farla breve, finisce che scopriranno di essere nati da uno stupro subito dalla madre in carcere, quello era il padre. E il fratello? Beh, il fratello era stato rapito in un orfanotrofio durante la guerra, e cresciuto nell’odio. E sai dov’era finito? A fare l’aguzzino, aka stupratore, in quello stesso carcere.
UH O_O_O_O_O_O ma sticazzi!
É la stessa persona! (io e il vecchio pubblico in sala tutti a fare “uhhhhhhhhhh”). Anvedi ‘ste storie coj’arabi che stanno in Canada!

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