Il Posto

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Il Posto

Domenico è un giovane impiegato che, vinto un concorso, ogni giorno si reca a Milano da una frazione di campagna, per lavorare in una grande azienda, dove, soprattutto per appagare la famiglia, spera di ottenere quanto prima un avanzamento di carriera.
Stefania ha scritto questa trama

Titolo Originale: Il posto
Attori principali: Loredana Detto, Sandro Panseri, Corrado Aprile, Guido Chiti, Tullio Kezich, Bice Melegari, Mara Revel, Guido Spadea

Regia: Ermanno Olmi
Sceneggiatura/Autore: Ermanno Olmi, Ettore Lombardo
Colonna sonora: Pier Emilio Bassi
Fotografia: Lamberto Caimi
Produttore: Alberto Soffientini
Produzione: Italia
Genere: Drammatico, Commedia
Durata: 98 minuti

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Olmi come Bresson. / 5 Ottobre 2020 in Il Posto

Ermanno Olmi come Robert Bresson utilizzava nei suoi film degli attori non professionisti, dei “modelli”, (come li chiamava quest’ultimo), che non sapevano assolutamente cosa stessero dicendo o facendo sul set, venivano catapultati dentro un universo a loro completamente sconosciuto, il risultato è come quelle foto che ti prendono di sorpresa, quando non ti metti in posa,
sono sempre le migliori perché colgono la verità …
Aveva ragione Tarkovskij, queste “interpretazioni” rimangono vive nel tempo, non cesseranno mai di essere emozionanti e soprattutto commoventi.

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Un’inedita Italia del boom. / 30 Aprile 2014 in Il Posto

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Un film decisamente bello, inaspettato, curioso, difficile da categorizzare (sempre che se ne abbia l’intenzione, è ovvio): il giovane Olmi, qui al suo secondo lungometraggio, confeziona una pellicola che, con taglio quasi neorealista, sicuramente realistico, descrive l’esplosione del boom economico italiano da un’angolazione quasi inedita, sicuramente fertile, in grado di offrire spunti di riflessione e prodromi per lo sviluppo di forme rappresentative di topoi antropologici e sociali quantomeno inconsuete per il cinema italiano, non solo dell’epoca.

Un po’ dramma, un po’ commedia, la sua ambivalenza mi ha ricordato vagamente il tenore de I magliari di Rosi.
Qui, però, la messinscena è forse più sottile, oserei dire più sofisticata: le descrizioni d’ambiente, benché rasentino talvolta la macchietta di costume (la madre altolocata che cerca la raccomandazione per il figlio succube o le relazioni interfamigliari nella casa del protagonista, per esempio), sono pittoresche e gustose senza mai scadere nella rappresentazione didascalica, anzi mantengono quasi un carattere documentaristico, oggettivo, sono un contorno necessario e ben adoperato ai fini di una corretta contestualizzazione.

La prospettiva del posto fisso, a prescindere da quali mansioni esso comporti, è qui il fulcro e il giogo di più vite e Olmi, incedendo con tenerezza sugli ingenui vagabondaggi dei due protagonisti tra le vie ed i negozi di una Milano che, con i suoi cantieri postbellici in fermento e le vetrine sfavillanti, spaventa, seduce e promette allettanti novità, Olmi, dicevo, mostra l’ingenuità propria di un giovane (e di una generazione) che sacrificherà la propria freschezza rincorrendo il mito del benessere appena intravisto: il fatto che il protagonista acquisti un trench perché la ragazza per cui prova interesse ama “l’abbigliamento sportivo” la dice lunga sui condizionamenti che di lì a poco, in maniera forse inconscia, stipendio alla mano, il consumismo eserciterà su di lui, fagocitandolo.

La scena finale, con la corsa alla scrivania, anticipatrice dei grotteschi sotterfugi fantozziani, cala come una pietra tombale sul futuro del giovane Domenico (interpretato da Sandro Panseri, attore non professionista con occhi sinceri, timidi, freschi, perfetti insomma per il ruolo affidatogli), apertamente sconcertato da una situazione in cui, per chissà quanti anni, sarà confinato.
Dettagli come la rappresentazione della camera spartana dell’impiegato di cui acquisisce la scrivania hanno un afflato quasi simbolico, segnano la cifra di un destino: Domenico, forse, avrà a disposizione beni di consumo di lusso (casa propria, motocicletta, ecc.), ma dietro quella scrivania la vita di chiunque, a prescindere dal proprio status economico, si riduce a ben poco, ad una gruccia appesa all’anta di un armadio vuoto, forse, mentre in un cassetto giacciono una piuma ed un romanzo incompiuto.

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19 Luglio 2012 in Il Posto

Domenico, un ragazzo con l’aria dello sbarbatello timido e impacciato, si trova ad affrontare una serie di esami per conquistare il suo posto fisso in una grande azienda, un “posto per tutta la vita” (eh sì, tanto tempo fa esistevano queste cose inverosimili). Durante i vari colloqui conosce Antonietta e se ne innamora, cercando con difficoltà di allacciare un rapporto.
Un film per certi versi tranquillo e monotono come la vita quotidiana degli impiegati che lo popolano, ma al contempo inquietante e terribile nella sua normalità. Vi si trovano già la spersonalizzazione dei lavoratori, l’alienazione di chi lavora in un colosso industriale, lo spopolamento delle campagne verso le metropoli, l’impossibilità di creare legami affettivi in un ambiente totalmente funzionale al lavoro, la mediocrità degli ominuccoli che attendono anni per un piccolo avanzamento di carriera, la meschinità dei capoccia che comandano impiegati che nemmeno conoscono e che non si degnano neanche di guardare in faccia, il grigiore e la schiavitù di una vita il cui tempo è tiranneggiato dai turni imposti dal capitale. E tutto questo molto prima che in Italia e nel mondo scoppiasse la contestazione e che registi come Petri proseguissero lo stesso discorso con più ferocia e impegno politico. Per chi si sia trovato in contesti di lavoro simili non sarà difficile identificarsi col ragazzo e tifare per lui e la sua infantile innocenza. Deliziosa la scena del ballo di fine anno, in cui il tenero protagonista richiama la figura malinconica di Buster Keaton, rinchiusa nel suo mutismo con tanto di paglietta sulla testa e mazzo di fiori in mano. La giovane e bella ragazza di cui si invaghisce Domenico diventerà in seguito moglie del regista Ermanno Olmi (e come biasimarlo?).

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