Giù la testa

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Giù la testa

Un ribelle irlandese abile con la dinamite si trasferisce in Messico durante la rivoluzione. Imbastisce una rapina ad una banca insieme ad un bandito locale. I due combatteranno insieme nella masnada di Pancho Villa ed Emiliano Zapata.
Stefania ha scritto questa trama

Titolo Originale: Giù la testa
Attori principali: Rod Steiger, James Coburn, Romolo Valli, Maria Monti, Rik Battaglia, Franco Graziosi, Antoine Saint-John, Vivienne Chandler, David Warbeck, Giulio Battiferri, Poldo Bendandi, Omar Bonaro, Roy Bosier, John Frederick, Amato Garbini, Michael Harvey, Biagio La Rocca, Furio Meniconi, Nazzareno Natale, Vincenzo Norvese, Stefano Oppedisano, Memè Perlini, Goffredo Pistoni, Renato Pontecchi, Jean Rougeul, Corrado Solari, Antonio Casale, Benito Stefanelli, Franco Tocci, Rosita Torosh, Aldo Sambrell, Florencio Amarilla, Sergio Calderón, Simon van Collem, Paolo Figlia, Alberigo Donadeo, Tony Casale, Romano Milani, Luigi Tripodi, Claudio Mancini, Riccardo Pizzuti, Franco Ukmar, Antonio Montoya, Mostra tutti

Regia: Sergio Leone
Sceneggiatura/Autore: Sergio Leone, Sergio Donati, Luciano Vincenzoni
Colonna sonora: Ennio Morricone
Fotografia: Giuseppe Ruzzolini
Costumi: Franco Carretti
Produttore: Fulvio Morsella
Produzione: Italia
Genere: Western
Durata: 157 minuti

Dove vedere in streaming Giù la testa

Altro che violenza / 16 Settembre 2020 in Giù la testa

Spesso chi parla di Leone tende a trascurare Giù la testa, forse perché troppo politico, sociale, arduo, repellente verso gli atti rivoluzionari. Non rispecchia i canoni del Western – magari anche quello all’italiana -, non ci sono i saloon, i duelli, i ranch, c’è solo la straordinaria colonna sonora firmata dal maestro Morricone che fa da coro greca per tutta la sua durata, l’aspetto peculiare nonché magnifico di questo capolavoro è proprio questo: non c’è un buono e non c’è un cattivo, lo scheletro del mito. Un western di Leone senza il mito. Senza quel atteso duello finale, quel finale ottimista – escludendo C’era una volta il West -, ma neanche un becero finale nichilista come in alcuni western dell’epoca. Giù la testa gode di una tenacia che lo rende – secondo la mia opinione – la pellicola più sentimentale del regista. Ripercorrendo tutti i suoi film: Il colosso di rodi, il vero Leone ancora doveva arrivare, ma già qui è concepibile avvertire una grande bravura nel dirigere – il controllo delle innumerabili comparse e degli effetti speciali -. Triologia del dollaro, rock puro, frenesia di valore, elettrizzante, il mito per eccellenza. Poi arriva C’era una volta il West, la morte del mito, la tristezza, la nostalgia, i ricordi di una generazione che disperatamente perde vita. Poi ancora: Giù la testa, dopo che ormai Leone ci ha già raccontato la morte del western, ripresenta lo stesso universo sotto altri vesti, e non c’era modo di compierlo diversamente. Questo film è cinema puro, quel drammatico “E adesso io?” chiarificatore della scomodità e dell’addio di un’era che ha segnato la storia, il volto angosciante di Rod Steiger chiude il sipario a un pezzo di storia che non tornerà mai più. Concludo col dire che qui Leone ha messo meno in mostra la sua abilità di regia, non c’è quel virtuosismo che notiamo nei precedenti film, ma solo realtà, illusorietà, molto veritiero. Questo film è un’opera d’arte, è poesia.

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Violenza e dramma / 7 Aprile 2019 in Giù la testa

La parte iniziale è un po’ noiosetta e forse troppo lunga, per quanto probabilmente necessaria per una presentazione adeguata dei due protagonisti (non proprio simpaticissimi, a dire il vero).
Ma quando il film entra nel vivo, è grande cinema. Questo film è spesso citato per essere il film più politico di Sergio Leone, io a dire il vero non apprezzo granché il suo sottotesto politico, ma quello più puramente emotivo.
Ci sono scene dal grande impatto (grazie anche al contributo di una colonna sonora eccezionale) che sono suggestive a prescindere da trama ed eventuali riflessioni politiche. La trama comunque non è male, gli accenni ironici iniziali vengono soppiantati dal dramma della violenta rivoluzione.

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Giù il cappello! / 2 Maggio 2016 in Giù la testa

Se si toglie l’esordio de Il colosso di Rodi, Giù la testa è indubbiamente il film meno celebre e che riscosse meno successo tra i capolavori che Sergio Leone sfornò nella sua attività di regista.
In questa occasione, Leone propone un soggetto intriso di storia, che inizialmente non voleva dirigere personalmente, salvo poi cedere all’insistenza delle due star ingaggiate per i ruoli da protagonista, i quali non erano disposti ad accettare altri dietro la macchina da presa.
Nel trattare il tema, in generale, della rivoluzione, si accenna, in apertura, a quella cinese, citando alcune parole di Mao (che tanto saranno piaciute a Godard), per poi dedicarsi all’intricata rivoluzione messicana degli anni Dieci, raccontata nella sua seconda fase, quella successiva alla caduta di Madero.
Ma nel film si accenna anche alla ribellione irlandese contro l’Inghilterra, con l’espediente del personaggio di Sean Mallory che arriva proprio da quelle parti, dove è ricercato per terrorismo.
In alcuni flashback, accomunati dalla proposizione mediante ralenti, si assiste al passato di Sean, ai suoi sogni e ai suoi amori, fino all’episodio del tradimento da parte di colui da cui meno se lo sarebbe aspettato.
Questi flashback sono caratterizzati dal filo conduttore della splendida colonna sonora di Ennio Morricone, che ancora una volta forma un connubio eccezionale con il regista romano, e che forse in questa occasione riesce addirittura a superarlo, essendo il celebre brano composto per l’occasione probabilmente più famoso del film stesso.
Per il resto, il solito stile registico di un Leone ispiratissimo soprattutto nella prima sequenza, dove non risparmia i primi piani che sfociano nel dettaglio (occhi, bocca) che lo hanno reso celebre.
È un film che non manca di qualche difetto, soprattutto nella sua connotazione epica non sempre convincente. Così come non convince in pieno l’interpretazione di un comunque discreto Rod Steiger, fresco dell’Oscar come miglior attore per l’interpretazione di Bill Gillespie in La calda notte dell’ispettore Tibbs.
Non è un difetto la durata, che inizia ad essere di quelle importanti, ma tutto sommato non pesa.
Il titolo originale italiano (ispirato dalla frase che Sean dice a Juan ogniqualvolta si sta cimentando con la dinamite) non è forse dei più azzeccati, così come non lo sono le versioni per il mercato americano (Duck, you Sucker) e britannico (A Fistful of Dynamite, che ricalca il primo film della trilogia del dollaro). Decisamente più riuscito il titolo francese che rispecchia quello informale con cui la pellicola è altresì conosciuta e che la cala perfettamente all’interno della seconda trilogia leoniana, quella del tempo: C’era una volta la rivoluzione.
È un film, in conclusione, che risente del fermento politico sociale post-sessantottino e che non può non ricordare Il mucchio selvaggio di Peckinpah, il quale, dopo essersi ispirato (anche) al regista italiano per rivoluzionare il western a stelle e strisce, fu qui probabilmente ricambiato (si narra che Leone offrì il film proprio a lui, tuttavia – e qui le motivazioni non sono chiare – non se ne fece nulla).

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La rivoluzione non è un pranzo di gala / 9 Ottobre 2013 in Giù la testa

La verve buffonesca con cui inizia questo film va esaurendosi ben presto; la rivoluzione messicana non lascia scampo ai toni scanzonati, la risata guascona dell’eroe involontario Juan Miranda si spegne in una lunga sequenza di lacrime e silenzio. E morti, tanti morti.
Forse non sarà il miglior film di Leone, ma è probabilmente il più originale e il più socialmente impegnato. Fu scritto per Peckinpah che di fatto lo snobbò, Leone allora si mise di buzzo buono e ne trasse un piccolo gioiello stretto tra due capolavori (C’era una volta il West e C’era una volta in America, la cosiddetta trilogia del tempo).
La coppia di attori protagonisti è memorabile, un vulcanico pacioccone Rod Steiger ed un compassato laconico James Coburn, ai quali si affianca un nobilissimo e languido Romolo Valli.
Il cattivo Gunther Reza (Antoine Saint John) non parla mai, ma in effetti basta la sua diabolica espressione.
Voglio ricordare la sequenza più bella del film; la camionetta sotto la pioggia incessante, il colonnello con il delatore dal volto tumefatto, la processione dei fucilati. Sanguinosa, terribile poesia sottolineata dalle musiche immortali di Ennio Morricone.

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il film / 28 Marzo 2013 in Giù la testa

Sarà per la fotografia, per la colonna sonora, per le vecchie motociclette, la carrozza-vagone, i feed-back irlandesi e la straordinaria interpretazione dei protagonisti e dei comprimari (grande Romolo Valli) ma per me è semplicemente “Il film” per eccellenza.