15 Gennaio 2014 in L'altra Heimat - Cronaca di un sogno

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

O come lo si può anche chiamare Heimat 4. Reitz torna sul luogo del delitto, anzi ancora prima, a seguire le vicende della famiglia Simon nello Schabbah (porco cane, ne ho viste talmente tante che ormai vien da parlarne come fossero vicini di casa *_*) prima di quando aveva iniziato in Heimat 1. Metà 800, un secolo di cui l’autore aveva evidentemente nostalgia, campagna povera dove tutti si tira la cinghia e muore, bianco e nero con colore digitale aggiunto a rimarcare oggetti/istanti cardine, su cui ruotano le vite dei personaggi. Jakob è figlio del fabbro ma non fa un ca**o, perché studiastudiastudia, e vuole andare in Brasile, sa già tutti i dialetti e le lingue di tutte le tribù aborigenmayaztechi del mondo, previdente. Ha un fratello ciula e balosso e ganzo, che gli ruba tutto, idee, ragazze, splendida lotta nel fango post-invernale. Che gli scopa la fidanzata, la mette incinta e la sposa. E, non contento di avergli rubato tutto, gli ruba anche il Brasile, verso dove parte con la moglie. Il suo destino è di essere quello che vuole partire e invece rimane sempre indietro, poor little thing (non so come si dica in tetesco). Storia di emigrazione, sognata e fallita, in un periodo dove anche i tedeschi avevano le pezze al c**o e sognavano eldoradi. Come ora qui quelli che vogliono andare in Australia no? Al solito, la storia generale è disseminata nelle vicende dei personaggi, protagonisti e multiforme contorno, gonfi di vita e palpitanti e appassionati e poveri ma brutti ma vivi. Dopo il film il regista si ferma a parlare. Ti dice che Jakob conosce tutti i dialetti garacanamarababà senza essere mai uscito da Schabbach, come il suo vero fratello, che è morto; sì ma ca**o lì è nel 1842 :/
Ti parla di crisi, emigrazione, nostalgia degli antichi mestieri, lo sfondo rurale dei poveri contadini tedeschi è affascinante e doloroso quanto necessario, come necessarie sono le storie raccontate a penetrarlo; un universo di natura, famiglia e miseria, di cui tenere traccia perché dei poveri e degli umili non rimane niente, e allora tutta la scenografia è stata rifatta a mano. Ogni singolo ca**o di bottone. Ed è stupendo perché lui è interminabile, non c’è da stupirsi che abbia fatto dei film da 20 ore (ad oggi tutto la serie degli Heimat sta mi pare sulle 60/70 ore), questo l’ha fatto corto per esigenze produttive, si è trattenuto 😀 e ci racconta anche tutte le storie e sottostorie che avrebbe voluto mettere ma non ci sono state; senza nemmeno che qualcuno glielo chiedesse! Del tipo: “e questo personaggio aveva anche questa storia qui, e ora ve la racconto”. Finzione che trascolora nel documento storico, sarà che dovevo troppo andare a dormire, comunque di registi che stanno fino all’una a parlartene ancora non me ne erano capitati.

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