22 Ottobre 2014 in Desu pawuda

E’ il film capostipite del filone cyberpunk nato in Giappone sul finire degli anni Ottanta e che sarà reso celebre da Shinya Tsukamoto. Il regista Shigeru Izumiya sembra inoltre anticipare il clima claustrofobico e l’atmosfera alienante che faranno la fortuna di Tetsuo. Se però Tsukamoto è il vate del metallo, Izumiya mostra un lato “carnale” che lo avvicina forse più a Cronenberg. Quello che balza subito all’attenzione sono infatti gli effetti fisici provocati nei protagonisti dalla misteriosa polvere che dà il titolo al film. Le deformazioni a cui è sottoposto il corpo di uno dei personaggi riescono a impressionare lo spettatore anche se l’estetica splatter spinta fino all’inverosimile sconfina in certi momenti nel ridicolo suscitando qualche risata. Il culmine è raggiunto con il gigantesco “blob” che prende forma e pare assorbire tutto e tutti, una creatura mostruosa resa con sequenze che portano i segni di un budget limitato e di effetti speciali di quasi trent’anni fa ma che comunque non lasciano indifferenti. Il regista si sofferma a più riprese su un occhio, forse l’ultimo scampolo di umanità che affiora da una massa indistinta di carne, qualcosa che fa irrimediabilmente correre il pensiero a quel residuo di fattezze umane che pochi anni dopo vedremo fare capolino dall’ammasso di ferri e tubi in Tetsuo.
Al compendio di bolle e schiuma che fuoriescono dal corpo del malcapitato si accompagna anche una componente più onirica e se possibile ancora più delirante. Qui compaiono avvenenti androidi e scienziati in veste di cantanti rock. Il bizzarro Dottor Loo si presenta infatti armato di chitarra elettrica di fronte allo sconcerto di uno dei presenti, ma ci rassicura poco dopo ricordandoci come niente abbia senso. Segue un’allegra foto di gruppo e un appassionato bacio tra l’uomo e l’androide Guernica, il tutto sul romantico sfondo di una schermata DOS.
Corpo e mente, carne e psiche, le due sfere dell’essere umano sono unite nel viaggio distorto in cui il film ci conduce ma il loro rapporto è antitetico. Più volte si fa riferimento ai limiti che la corporeità impone alle possibilità della mente umana. Le esperienze provocate dalla misteriosa polvere, per quanto inquietanti e stranianti, sembrano donare chiarezza a chi le vive, mostrando una nuova via fatta di possibilità illimitate, di una vita dopo la morte o, parafrasando le parole del film, di un paradiso nascosto in ognuno di noi nonostante l’inferno che ovunque ci criconda.
Infine il fascino di questa pellicola sta anche e soprattutto in alcune scene incomprensibili, come un intermezzo di 4 minuti in cui scorrono immagini di persone e città accompagnate da un suadente sottofondo musicale degno di Montecarlo Nights. Non sfugge poi il particolare dei volti criptati nelle rare scene girate all’aperto, motivate probabilmente dalla legge sulla privacy e una scena di combattimento tra un uomo e una donna. La donna si accinge a colpire l’uomo a terra con un calcio quando all’improvviso la scena si blocca e compare un piccolo riquadro con all’interno la foto di un altro uomo che nel frattempo è in preda alla metamorfosi causata dalla polvere. Il riquadro vola letteralmente via colpito dal calcio e l’azione riprende tranquillamente come niente fosse. Hate it or love it.

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