A volte ritornano ancora… e ancora… e ancora… / 8 Agosto 2017 in Campi insanguinati

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Nebraska 1975, una coppia è in viaggio in automobile attraverso i desolati campi di mais della regione, nel tentativo di salvare il loro matrimonio. Burt, un veterano del Vietnam, e Vicky, una donna di colore, continuano a litigare e in un attimo di distrazione, investono un bambino sbucato fuori improvvisamente dal vicino campo di granturco. Raccolto il corpo del piccolo, che si scopre avere la gola tagliata, la coppia decide di cercare aiuto nel vicino villaggio agricolo di Gatlin. L’accoglienza che troveranno non sarà delle migliori. La cittadina è infatti abitata da una sanguinaria setta religiosa composta da bambini e ragazzi che non superano i diciotto anni di età. Guidati dal piccolo profeta Isaac e dal suo braccio destro Malachai, adorano una terribile entità che sembra vivere nei campi di mais, che chiamano “colui che cammina dietro i filari”, cui avevano sacrificato tutti gli adulti della città e che adesso dovrà “occuparsi” anche dei due sfortunati di passaggio. Tratto da un racconto che Stephen King pubblicò per la prima volta nel 1977 sulla rivista Penthouse, Campi insanguinati è anche il remake di Grano rosso sangue, film prodotto nel 1984 dallo stesso Donald P. Borchers, regista e co-sceneggiatore, insieme allo stesso King, di questa pellicola per la televisione andata in onda su SyFy Channel nel settembre del 2009. È incredibile come un breve racconto, neanche tanto originale, abbia generato a oggi ben nove film tra adattamenti e sequel, nessuno dei quali memorabile o che abbia aggiunto qualcosa di nuovo o interessante alla storia. I figli del grano, è infatti debitore a romanzi come Il signore delle mosche di William Golding (1954) o I figli dell’invasione di John Wyndham (1957) e lo stesso spunto fu in seguito trattato in maniera migliore da James G. Ballard in Un gioco da bambini (1988). Nonostante sia più coerente al racconto originale, il film si pone un gradino sotto alla pur non eccelsa trasposizione del 1984, che comunque presentava delle sequenze efficaci. Il personaggio di Isaac, ad esempio, appariva ben più carismatico e raccapricciante, anche perché a interpretarlo era Jason Franklin, un attore dalle particolari fattezze che all’epoca aveva venticinque anni. Preston Bailey, un vero bambino di nove anni, sembra invece più ridicolo che minaccioso sotto l’enorme cappello nero con cui va in giro a sermonare. I due protagonisti passano poi la metà del film a discutere e litigare, tanto che si tira un sospiro di sollievo quando sono divisi dalle circostanze. Il fatto, non presente nel racconto, che siano una coppia mista nel 1975, quando la cosa non era molto usuale, poteva essere interessante, ma non è per niente approfondita. Altro elemento non presente nel racconto, il passato in Vietnam di Burt, sembra buttato lì per allungare il racconto, altrimenti davvero scarno, e giustificare la sua abilità nello scappare e difendersi. Il mostro, forse per problemi di budget, non è mai mostrato, mentre è ristabilito il finale senza happy hending del racconto originale. La versione in Dvd reintegra alcune scene censurate per la televisione, soprattutto riguardanti i rituali di accoppiamento dei ragazzi, indispensabili per la sopravvivenza di una setta i cui membri, superati i diciannove anni di età, s’incamminano lungo i filari per offrirsi al loro dio.

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