Ottima trasposizione dall’universo di Clive Barker / 8 Dicembre 2016 in Book of Blood

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

La professoressa Mary Florescu (Sophie Ward), studiosa del paranormale, coinvolge lo studente universitario Simon McNeal (Jonas Armstrong), che apparentemente dimostra possedere doti da sensitivo, nell’indagine su una presunta cassa infestata. Il giovane, che affermava di riuscire a parlare con i morti, si rivelerà un millantatore e nello stesso tempo si scoprirà che la casa è molto più che infestata. Essa infatti si trova all’intersezione delle cosiddette “autostrade” che trasportano le anime nell’aldilà, nella fattispecie le anime di persone decedute di morte violenta. Gli spiriti sono desiderosi di raccontare le loro storie a qualcuno con un ardore tale da far pensare che alleggerisca la loro pena e, piccati dall’impostura di Simon, iniziano a incidere sulla pelle del corpo dello studente i racconti delle loro tragiche morti, trasformandolo così in un vero e proprio “libro di sangue” vivente. Il film è tratto dai due racconti cornice che aprono e chiudono le raccolte denominate appunto Libri di sangue, sei volumi pubblicati originariamente tra il 1984 e il 1985 per opera dello scrittore e regista britannico Clive Barker. Allo stesso modo dei racconti originali, la pellicola doveva fungere come una specie di pilot per future trasposizione cinematografiche di tutti i racconti delle raccolte. Lo scarso successo commerciale sembra aver fatto naufragare tutto il progetto. Dopo una serie di pellicole abbastanza dimenticabili e a distanza di un anno dall’ottimo Prossima fermata: l’inferno, esce un’altra convincente trasposizione dei lavori dello scrittore di Liverpool. Book of Blood appare come un’opera composita che amalgama egregiamente due racconti diversi, per quanto collegati, in un unico film, operazione che poteva presentare qualche difficoltà. Il ritmo è lento e per certi versi ricorda più gli horror del passato che i moderni splatter. Il regista John Harrison, già collaboratore George A. Romero, riesce infatti a suggerirci l’atmosfera dei film dei primi anni novanta tratti da Barker (e spesso diretti da lui stesso, come Hellraiser o Cabal) e questo potrebbe far apparire la pellicola datata agli occhi degli spettatori che quell’epoca non l’hanno vissuta. A dispetto del titolo, di sangue se ne vede poco, per poi sovrabbondare in alcune efficaci scene. Per chi ha letto i racconti, la trama offre poche sorprese, l’universo di Barker fatto di dolore e piacere è perfettamente rispettato. Certo, ricavare un’ora e mezzo di film da due brevi racconti ha determinato inevitabilmente qualche lungaggine, ma nel complesso scorre bene fino al grandguignolesco finale. Riguardo a quest’ultimo, forse troppo repentina appare la trasformazione della genuina ed entusiasta Mary in crudele dark lady. Piccolo ruolo anche per Doug Bradley, il “Pinhead” della serie di film Hellraiser.

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