Le donne perdute di Pietrangeli / 24 Ottobre 2016 in Adua e le compagne

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Ritratto crudo e quasi epico di un quartetto di donne costrette dalla vita a scelte dolorose: applicata la Merlin e chiuse le case di tolleranza, quattro prostitute provano a rendersi indipendenti, aggirando la legge.
L’apertura di una trattoria di campagna, inizialmente usata come copertura per iniziare un nuovo giro di prostituzione gestito in autonomia, senza protettori, consente ad Adua e alle altre di rendersi effettivamente conto delle proprie capacità e di delineare definitivamente la propria personalità in quanto donne e non come puri oggetti di piacere.
La vittoria del perbenismo, delle convenzioni sociali, degli schemi mentali di una società falsa e moralista schianta, letteralmente, quattro donne desiderose di assaporare finalmente la vita.

Pur didascalico nella definizione delle protagoniste, portatrici di caratteristiche (e caratteri) tagliate con l’accetta e in aperta contrapposizione le une con le altre (come se ciascuna delle “compagne” fosse una singola ed esclusiva parte di un golem costituito dall’unione delle quattro), il film di Pietrangeli conquista per la precisione, l’immediatezza e la concretezza del racconto. Dal punto di vista narrativo, il lavoro di Pietrangeli, Maccari, Pinelli e Scola gioca bene con il passato delle protagoniste, svelandone piccolissimi sprazzi che lasciano intuire una vita fino ad allora difficile e rassegnata, rimpolpando la felice carrellata di ritratti femminili, iniziata con quella della servetta Celestina de Il sole negli occhi (1953), che hanno segnato la troppo breve filmografia del cineasta romano: l’esperienza di Adua in Africa, il padre alcolista e violento di Marilina (il suo ritorno notturno nella vecchia casa di tolleranza è comico ed estremamente drammatico insieme e il suo sguardo che corre sulle crepe del soffitto osservate così spesso durante gli incontri con i clienti racconta molto della vita del personaggio), i raggiri subiti da Lolita, le origini contadine di Caterina.

Gigantesca la Signoret, brava l’isterica Emmanuelle Riva, giustamente oca giuliva la Milo, meno convincente delle quattro la Gina Rovere. Mastroianni seducente trafficone, costretto -a occhio e croce- in uno dei ruoli più negativi della sua carriera.
Bella la fotografia di Armando Nannuzzi, un b/n pieno di nitori e di altrettante evocative ombre, azzeccate le languide musiche jazzistiche di Piccioni, splendide le caratterizzazioni degli ambienti, ricche di domesticità, di realismo, perfino di cliché, in un dosaggio -però- piacevolissimo.

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