Hemingway non basta / 5 Giugno 2016 in Addio alle armi

La prima trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo semi-autobiografico di Hemingway esce a soli tre anni dalla prima edizione del libro. Siamo nei primi anni Trenta, quando il sonoro aveva meno di un lustro di vita e il codice di autocensura Hays doveva ancora trovare applicazione (cosa che si nota fin dalle prime battute, con l’audace scena del piedino nudo della Hayes).
Ritenuto da molti una delle migliori pellicole tratte da Hemingway, in realtà si discosta in vari punti dal libro dello scrittore americano (ad esempio nella parte che precede il finale), forse al fine di concentrare nei novanta minuti scarsi di durata una storia di ampissimo respiro, di cui si conserva soltanto (in parte) l’imprescindibile monologo finale, che fa da preludio ad una conclusione pomposa ma affascinante (sicuramente la parte più riuscita del film).
Il secondo Addio alle armi giungerà un quarto di secolo più tardi, prodotto da David O. Selznick e diretto da Charles Vidor. Sebbene si tratterà di un sostanziale fallimento, che porterà Selznick ad abbandonare le produzioni, non si può non rilevare la maggiore aderenza del “remake” al racconto hemingwayano e la durata più estesa (quasi il doppio del film di Borzage) per tentare di non tagliare (e modificare) troppo.
Della regia di Borzage si ricorderà soprattutto la geniale sequenza del ricovero di Frederic presso l’ospedale militare inglese di Milano, con la lunga soggettiva dalla prospettiva del tenente, interpretato da un giovane Gary Cooper che inaugurerà la tradizione dei bellocci alter ego dell’Hemingway soldato (nel film del 1957 vi sarà un meno credibile Rock Hudson).

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